In questa
lettura Keynes racconta di essere stato in gioventú membro di un’associazione
universitaria, detta “Gruppo degli Apostoli”, di cui ricorda la concezione
antropologica, che poi critica per la sua ingenuità.
J. M. Keynes, Essays in Biography, [Saggi
nella Biografia], in Collected
Writings, vol. X, London 1972, pag. 448, trad. M. Sebastiani
“Eravamo tra gli ultimi Utopisti, o miglioristi, come talvolta vengono chiamati coloro che credono in un continuo avanzamento morale, grazie al quale la razza umana è già formata da persone degne di fede, razionali, civili, influenzate dalla verità e da canoni obiettivi; persone che possono essere liberate senza pericoli dai lacci esterni della convenzione e dei canoni tradizionali e dalle regole inflessibili di comportamento, per essere d’ora in poi lasciate al loro buonsenso, alle loro pure motivazioni, alla loro sicura intuizione del bene”. Ma subito dopo confesserà: “Come causa ed effetto della nostra mentalità [di giovani] non capivamo affatto la natura umana, compresa la nostra. La razionalità che le attribuivamo rendeva superficiali non solo i giudizi ma anche i sentimenti [...]. Sono ancora affetto da questa incurabile tendenza ad attribuire una irreale razionalità ai sentimenti e al comportamento degli altri (e, beninteso, anche ai miei)”.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. IV, pagg. 38-39