Kierkegaard, Il peccato si relaziona all’esistenza

Kierkegaard osserva che, come l’esistenza stessa, l’immortalità, la fede e il paradosso, anche il peccato “non può trovare posto nel sistema”. Il peccato appartiene al singolo ed è la misura della distanza dalla verità.

 

S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia e La malattia mortale

 

Il peccato è decisivo per tutta una sfera di esistenza, quella religiosa nel senso piú stretto. Proprio perché ai nostri tempi si è fatto un’indigestione di sapere, si finisce facilmente per confondere tutto con un linguaggio babelico, dove gli esteti sfruttano con abilità le determinazioni piú decisive della religiosità cristiana, e i pastori le usano spensieratamente come stile di cancelleria il cui contenuto non interessa per nulla.

Ma la disgrazia dei nostri tempi è quella di aver fatto una scorpacciata di sapere, è di aver dimenticato cos’è l’esistere e cosa deve significare l’interiorità: perciò era importante che il peccato non fosse concepito con determinazioni astratte, con le quali non lo si può afferrare, almeno in modo decisivo, perché esso sta in un rapporto essenziale con l’esistere. In questo senso era utile che lo scritto fosse una ricerca psicologica che spiega per suo conto come il peccato non può trovare il suo posto nel sistema, press’a poco come l’immortalità, la fede, il paradosso e cose simili, le quali si rapportano essenzialmente all’esistere? da cui per l’appunto il pensiero sistematico astrae. Con l’“angoscia” non si dà piú importanza “ai paragrafi del sistema, ma all’interiorità dell’esistenza. Come Timore e tremore rappresentavano la condizione della sospensione teleologica mentre Dio tenta, cosí l’angoscia è la condizione dell’anima ch’è sospesa teleologicamente in quella disperata liberazione dal dover realizzare l’etica. L’interiorità del peccato come angoscia nell’individualità esistente è la distanza piú grande possibile e piú dolorosa dalla verità, quando la verità è l’interiorità.

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La categoria del peccato è la categoria del “singolo”. Il peccato non si può pensare affatto speculativamente; perché il singolo uomo è al di sotto del concetto: non si può pensare un singolo uomo, ma soltanto il concetto dell’uomo. È per questa ragione che la speculazione acconsente subito alla teoria della preponderanza della generazione sull’individuo; perché non si può pretendere che la speculazione riconosca l’impotenza del concetto di fronte alla realtà. E come non si può pensare un singolo uomo; cosí neanche un singolo peccatore; si può pensare il peccato il quale allora diventa la negazione, ma non un singolo peccatore. Ma proprio per questo il peccato non può mai essere preso sul serio, se dev’essere soltanto pensato. Perché, la serietà, non è il peccato in generale, ma proprio il fatto che tu ed io siamo peccatori; la pressione della serietà consiste nel peccatore, egli è il singolo.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 1232 e 1269