Chi
affronti la lettura di questo teologo non può sottrarsi a un certo fastidio per
il tono che egli usa nei suoi sferzanti attacchi alla Chiesa. Potrebbe a volte
sembrare senza rispetto, senza carità o attenzione filiale nei confronti di una
comunità di credenti che, fra errori e difficoltà di ogni genere, lotta
tuttavia per restare fedele al suo mandato. In particolare questa acredine
sembra colpire il papa. Nella pagina che presentiamo l’autore protesta la
propria fedeltà alla Chiesa cattolica ed espone le sue speranze in un
rinnovamento che sia quasi una rivoluzione: che i frutti del Concilio ecumenico
diventino un patrimonio per tutta la cristianità attraverso la revisione della
infallibilità del pontefice. L’infallibilità in materia di fede si addice alla
Chiesa nel senso che, anche attraverso tutti gli errori umani sempre possibili,
lo Spirito Santo garantisce alla Chiesa stessa la permanenza nella Verità.
H. Küng, L’infallibilità
Per dissipare ogni malinteso, ogni dubbio di anime pie espresso per via epistolare: L’Autore di questo libro è e resta, nonostante il suo atteggiamento critico, un convinto teologo cattolico. Ma proprio come teologo cattolico profondamente legato alla sua Chiesa egli pensa di avere il diritto e purtroppo anche il dovere, da adempiere con assoluta modestia e piena consapevolezza dei propri limiti e della propria fallibilità umana, di obiettare in modo inequivocabile e ineludibile che cosí operando, certo in buona fede ma ciecamente, si priva il popolo di Dio dei frutti del Concilio. Un servizio di Pietro ha senso nella Chiesa, ogni cattolico è pronto ad affermarlo. Ma è il papa che esiste per la Chiesa, non la Chiesa per il papa. Il suo primato non è un primato di potere, ma un primato di servizio. E il responsabile del servizio di Pietro non deve ergersi né a signore della Chiesa né a signore del Vangelo, ciò che invece fa quando, nella teoria e nella prassi, dopo tutte le esperienze negative del passato e quelle positive del Concilio, interpreta ancor oggi questo Vangelo secondo le categorie di una tradizione, una teologia e una politica ecclesiali recepite acriticamente. Furono soprattutto questa teologia e questa politica di stampo romano a regalare alla nostra Chiesa prima la separazione dalle Chiese orientali e successivamente la scissione delle Chiese riformate, incapsulandola infine nel ghetto della Controriforma. E ora, in una crisi nuovamente provocata dall’intransigenza romana, non sarebbe meglio ammonire tempestivamente, chiaramente e pubblicamente, prima che altri preti disertino, ancor piú numerosi, il loro ministero, altri seminaristi defezionino, altri uomini, clamorosamente o silenziosamente, voltino le spalle alla Chiesa, e la Chiesa venga ancor piú degradata a subcultura? Il recente dilagare della delusione, della paralisi, addirittura del disfattismo e della disperazione nell’animo degli elementi migliori tra il clero e il popolo, è qualcosa di indescrivibile.
Bisogna far fronte alla crisi e superarla. Senza amarezze e risentimenti, ma anche senza lasciarsi influenzare da ipocrite esortazioni alla calma, a un’obbediente “umiltà”, all’“amore” per la Chiesa; bisogna attingere alla forza del messaggio di Gesú Cristo stesso e del suo Spirito, bisogna perseverare sulla linea del Concilio Vaticano II, con la parola e con l’azione, per la riforma e il rinnovamento della nostra Chiesa. Riforma e rinnovamento! E aggiungiamo con estrema chiarezza: Come nella Chiesa non abbiamo nessuna stima della reazione, cosí non diamo nessun credito alla rivoluzione, alla rivoluzione nel senso di un sovvertimento violento del governo e dei valori costituiti. Certo, la domanda è giustificata: Può un sistema assolutistico – e il sistema romano è l’unico sistema assolutistico sopravvissuto alla Rivoluzione francese – essere superato senza un’azione eversiva? Ma si pone anche la controdomanda, appunto in base al messaggio cristiano, che mira senz’altro a una trasformazione radicale, non però a un rovesciamento prodotto dalla violenza: Non dovrebbe essere possibile nella Chiesa, in forza del messaggio di Cristo, ciò che nel mondo e nella politica mondiale sembra accadere cosí raramente: superare un sistema assolutistico senza rivoluzione cruenta, attraverso il rinnovamento interiore delle persone e delle strutture? Non dobbiamo rinunciare alla lotta per il rinnovamento e la riforma, ma neppure abbandonare il dialogo e la speranza in un’intesa reciproca.
In questo libro intendiamo perciò affrontare la problematica dell’autorità magisteriale ecclesiastica, e in particolare la questione specifica dell’infallibilità.
H. Küng, L’infallibilità, Mondadori,
Milano, 1977, pagg. 17-18