KANT, IL CONCETTO DI NOUMENO E' UN CONCETTO
LIMITE
Il
concetto di noumeno è dunque solo un concetto limite (Grenzbegriff), per
circoscrivere le pretese della sensibilità, e di uso, perciò, puramente
negativo. Ma esso tuttavia non è foggiato ad arbitrio, sibbene si connette colla
limitazione della sensibilità, senza poter nondimeno porre alcunché di positivo
al di fuori del dominio di essa. Non può dunque ammettersi punto in senso
positivo la divisione degli oggetti in fenomeni e noumeni, e del mondo in
sensibile e intelligibile, sebbene i concetti consentano sempre di esser divisi
in sensibili e intellettuali; giacché a questi ultimi non si può assegnare
nessun oggetto, né essi perciò possono valere oggettivamente. Se ci si allontana
dai sensi, come concepire che le nostre categorie (che sarebbero i soli concetti
rimanenti per i noumeni) significhino ancora qualche cosa, dal momento che per
il loro rapporto ad un qualsiasi oggetto dovrebbe esser dato qualcosa più che la
semplice unità del pensiero e cioè inoltre una intuizione possibile, a cui
applicarle? Il concetto di noumeno, preso solo problematicamente, rimane, ciò
malgrado, non soltanto ammissibile, ma anzi inevitabile, come concetto che
limita la sensibilità. Ma, allora, esso non è un particolare oggetto
intelligibile per il nostro intelletto; ma un intelletto, al quale esso
appartenesse, sarebbe già di per sé un problema, in quanto intelletto capace di
conoscere il proprio oggetto non discorsivamente, mediante le categorie, ma in
modo intuitivo, con una intuizione non sensibile; né della possibilità di tale
oggetto noi possiamo farci la più piccola idea. Ora il nostro intelletto riceve
in tal modo una estensione negativa, cioè non viene limitato dalla sensibilità,
ma piuttosto la limita, pel fatto che chiama le cose in sé (non considerate come
fenomeni) noumeni. Ma, nell'atto stesso, pone anche a sé il limite di non
poterle conoscere per nessuna categoria, e poterle soltanto pensare a titolo di
un che ignoto.
(Immanuel
Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp.
210-211)