KANT, TRASCENDENTALE E TRASCENDENTE NON SONO LA
STESSA COSA
I princìpi
dell'intelletto puro, che noi abbiamo sopra esposti, devon essere semplicemente
d'uso empirico, e non trascendentale, tale cioè che si spinga di là dai termini
dell'esperienza. Ma un principio che abolisce questi limiti, anzi impone di
sorpassarli, si chiama trascendente. Se la nostra Critica può arrivare a
scoprire l'apparenza di questi pretesi princìpi, allora quei princìpi di uso
meramente empirico, in opposizione a questi ultimi, si possono denominare
princìpi immanenti dell'intelletto puro. L'apparenza logica, che consiste nella
semplice imitazione della forma razionale (l'apparenza dei sofismi) sorge
unicamente da un difetto di attenzione alla regola logica. Appena quindi questa
viene rivolta sul caso in questione, quell'apparenza si dilegua del tutto.
L'apparenza trascendentale, invece, non cessa egualmente, quand'anche altri già
l'abbia svelata e ne abbia chiaramente scorta la nullità mediante la Critica
trascendentale (per es. l'apparenza nella proposizione: il mondo deve avere un
principio nel tempo). E la causa è questa, che nella nostra ragione (considerata
soggettivamente, come facoltà conoscitiva umana) ci sono regole fondamentali e
massime del suo uso, che han tutto l'aspetto di princìpi oggettivi, per cui
accade che la necessità soggettiva di una certa connessione dei nostri concetti
in favore dell'intelletto venga considerata come necessità oggettiva della
determinazione delle cose in sé. Illusione, che è affatto inevitabile, come non
possiamo evitare che il mare nel mezzo non ci apparisca più alto che alla
spiaggia, poiché lì noi lo vediamo per raggi più alti che qui, o come anche lo
stesso astronomo non può impedire che la luna al levarsi non gli apparisca più
grande, quantunque ei non si lasci ingannare da tale apparenza.
La dialettica
trascendentale sarà paga pertanto di scoprire l'apparenza dei giudizi
trascendenti, e di prevenire insieme che essa non tragga in inganno; ma che
questa apparenza anche si dilegui (come l'apparenza logica) e cessi di essere
un'apparenza, questo è ciò che non può giammai conseguire. Perché noi abbiamo
che fare con una illusione naturale ed inevitabile, che si fonda essa stessa su
princìpi, soggettivi, e li scambia per oggettivi; laddove la dialettica logica,
nella risoluzione dei paralogismi, non ha da fare se non con un errore nello
svolgimento dei principi, o con un'artificiale apparenza nell'imitazione di
essi. Vi è dunque una dialettica naturale e necessaria della ragion pura; non la
dialettica in cui si avviluppi, per es., un guastamestieri per mancanza di
cognizioni, o che un qualunque sofista abbia escogitata ad arte per imbrogliare
la gente ragionevole; ma la dialettica, che è inscindibilmente legata all'umana
ragione e che, anche dopo che noi ne avremo scoperta l'illusione, non cesserà
tuttavia di adescarla e trascinarla incessantemente in errori momentanei, che
avranno sempre bisogno di essere eliminati.
(Immanuel
Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 237-238)