Il dovere (Sollen) esprime una specie di necessità e di rapporto con princìpi, che d'altronde non si riscontra in tutta quanta la natura. L'intelletto può di essa conoscere solo ciò che è, è stato ? sarà. È impossibile che qualcosa debba essere altrimenti da quel che è in fatto in tutte le relazioni temporali; anzi il dovere, quando si ha l'occhio solo al corso della natura, non ha assolutamente significato di sorta. Noi non possiamo punto chiedere che cosa deve accadere nella natura; come non possiamo cercare quali proprietà deve (soll) avere un circolo; ma che cosa in quella accade o quali proprietà questo possiede. Ora questo dovere esprime un atto possibile, il cui principio non è altro che un semplice concetto; dove, per contro, di un semplice atto naturale il principio non può esser mai se non un fenomeno. L'atto bensì deve assolutamente esser possibile in condizioni naturali se ad esso è indirizzato il dovere; ma queste condizioni naturali non toccano la determinazione dello stesso arbitrio, sibbene solo l'effetto e la conseguenza di essa nel fenomeno. Per quanti possano essere i princìpi naturali che mi stimolano a volere, per quanti sia no gli impulsi sensibili, essi non possono produrre il dovere, ma soltanto un volere, tutt'altro che necessario, anzi sempre condizionato, al quale il dovere, che esprime la ragione, assegna invece misura e scopo, nonché inibizione e autorità. Può essere un oggetto del semplice senso (il piacevole) ? anche della ragion pura (il bene): la ragione non s'arrende al principio, che è dato empiricamente, e non segue l'ordine delle cose, com'esse si presentano nel fenomeno; ma si fa, con piena spontaneità, un suo proprio ordine secondo idee, alle quali adatta le condizioni empiriche, e alla stregua delle quali dichiara necessarie perfino azioni che per anco non sono accadute e probabilmente non accadranno; ma di tutte, nondimeno, suppone che la ragione, rispetto ad esse, possa esercitare una causalità, giacché senza di ciò dalle sue idee non attenderebbe verun effetto nella esperienza.
(I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 355)