Bisogna bene avvertire che, con ciò, non abbiamo inteso di esporre la realtà della libertà, come di una delle facoltà che contengono la causa dei fenomeni del nostro mondo sensibile. Giacché, a parte che ciò non sarebbe stato punto una considerazione trascendentale, che ha che fare semplicemente con concetti, ciò non sarebbe potuto riuscire, in quanto che dall'esperienza non possiamo conchiudere mai a qualcosa, che non dee punto pensarsi secondo le leggi dell'esperienza. Che anzi, non abbiamo neppur voluto dimostare la possibilità della libertà; infatti né anche questo era possibile, poiché in generale, per via di semplici concetti a priori non ci è dato di conoscere la possibilità di nessun fondamento reale e di nessuna causalità. La libertà qui è trattata solo in quanto idea trascendentale, onde la ragione pensa di iniziare assolutamente la serie delle condizioni del fenomeno mediante qualche cosa di incondizionato rispetto al senso1; dove per altro ella s'avvolge in una antinomia con le sue proprie leggi, che essa prescrive all'uso empirico dell'intelletto. Ora, che questa antinomia si fonda su una semplice apparenza, e che la natura per lo meno non contraddice alla causalità per libertà, era la sola cosa, che noi potevamo mostrare, e la sola, anche, che fosse per noi importante.
(I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 360)