Pensare un oggetto e conoscere un oggetto non è dunque la stessa cosa. La conoscenza comprende due punti: in primo luogo, un concetto per cui in generale un oggetto è pensato (la categoria), e, in secondo luogo, l'intuizione, onde esso è dato; giacché, se al concetto non potesse esser data un'intuizione corrispondente, esso, per la forma, sarebbe un pensiero, ma senza alcun oggetto, e per mezzo di esso non sarebbe punto possibile la conoscenza di una qualsiasi cosa; poiché, per quanto io ne saprei, non vi sarebbe, ne potrebbe esservi alcunché, a cui poter applicare il mio pensiero. Ora, ogni nostra possibile intuizione è sensibile (Estetica); il pensiero dunque di un oggetto in generale mediante un concetto puro dell'intelletto, può in noi diventare conoscenza solo in quanto questo concetto è messo in relazione con oggetti dei sensi. L'intuizione sensibile o è intuizione pura (spazio e tempo), o intuizione empirica di ciò che vien rappresentato, per mezzo della sensazione, immediatamente come reale nello spazio e nel tempo. Per la determinazione della prima noi possiamo ottenere conoscenze a priori di oggetti (nella matematica), ma solo rispetto alla forma di essi, come fenomeni; se poi ci possono essere cose che si debbano intuire in questa forma, è ciò che rimane tuttavia indeciso. Per conseguenza, tutti i concetti matematici non sono per sé conoscenze, se non in quanto si presuppone che ci siano cose che si possono rappresentare solo conformemente alla forma di quella pura intuizione sensibile. Male cose nello spazio e nel tempo sono date solo in quanto percezioni (rappresentazioni accompagnate da sensazione), e perciò per rappresentazione empirica. Quindi i concetti puri dell'intelletto, anche se applicati ad intuizioni a priori, (come nella matematica), creano conoscenze solo in quanto queste - e però anche per mezzo di esse i concetti dell'intelletto - possono essere applicate a intuizioni empiriche. Di guisa che le categorie mediante l'intuizione non ci danno ancora nessuna conoscenza delle cose, se non soltanto per la loro possibile applicazione a una intuizione e m p i r i c a, esse cioè servono solo alla possibilità della conoscenza empirica. Ma questa si chiama esperienza. Dunque le categorie non hanno alcun uso alla conoscenza delle cose, se non in quanto queste sono prese come oggetti di esperienza possibile.
(Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 118-119)