La Mothe le Vayer, La vera origine della religione

La Mothe le Vayer presenta come causa dell’origine delle religioni prima di tutto la paura, poi le fantasie oniriche, infine, secondo una teoria resa famosa dal sofista Crizia, le esigenze della politica. Il filosofo francese prosegue ricordando la tendenza degli uomini a divinizzare ciò che è loro particolarmente utile e conclude che “gli uomini si sono fabbricati da se medesimi quegli dèi onnipotenti”.

 

F. de La Mothe le Vayer, Deux dialogues faits à l'imitation des anciens

 

Tuttavia gli atei escludono quegli argomenti [cioè le “cinque vie” attraverso le quali Tommaso d'Aquino dimostra l'esistenza di Dio], dei quali sostengono che nessuno è dimostrativo; ciò che è reso loro abbastanza facile dalle regole di un'esatta logica. Sí che dando a se stessi via libera sull'argomento, alcuni credono, come Petronio (V framm.), che le meraviglie della natura, le eclissi degli astri, i terremoti, lo scoppio dei tuoni ed altre simili cose abbiano prodotto nei nostri spiriti la prima impressione di una divinità:

 

Primus in orbe deos fecit timor: ardua caelo

Fulmina dum caderent.

 

Altri, come Sesto, sono piú o meno dell'opinione di Epicuro, che riferisce quella prima conoscenza alle visioni prodigiose che l'immaginazione ci fornisce nel sonno (senza tuttavia ammettere quei simulacri divini), delle quali spesso al risveglio conserviamo un'emozione fortissima. Ma tutti concordano nel ritenere che i piú grandi legislatori non si sian serviti dell'opinione volgare in proposito (da essi non soltanto favorita, ma incrementata come meglio potevano), se non per stringere con quel morso il popolo stolto e quindi condurlo a piacer loro. Cosí Giuseppe de Acosta ci rappresenta i mandarini che governano la Cina e mantengono il popolo nella religione del paese, pur non credendo, dice, per parte loro, in nessun altro dio fuor che la natura, in nessun'altra vita fuor che questa, in nessun altro inferno fuor che la prigione, né in alcun altro paradiso fuor che d'aver un ufficio di mandarino. [...]

Noi santifichiamo ciò che ci fa del bene, diceva candidamente quel buon religioso, Filippo di Commines, parlando di Galeazzo di Milano; ed è noto che una prostituta fu adorata dal popolo romano per averlo istituito erede dei grandi beni ch'essa aveva acquistati, come si dice, con il sudore del suo corpo. Tale è l'origine dell'adorazione del Sole presso tanti popoli che ne sperimentano i benefici, ad eccezione di quegli etiopi e popoli atlantici che lo detestano e lo maledicono per l'ardore eccessivo, come dicono Diodoro Siculo e Plinio. [...]

E perciò, poiché non solamente siamo desiderosi del bene, ma ancor temiamo grandemente il suo contrario, si inventarono quella divinità che si volevano placare. [...]

E per mostrare che gli uomini si sono fabbricati da sé medesimi quegli dèi onnipotenti, e che essi ne sono veramente gli autori, Ferecide è ricordato da Diogene Laerzio come il primo che nei suoi scritti abbia parlato degli dèi, e Platone come quegli che forgiò e propose theoú prónoian (dei providentiam). Essi sostengono ancora che i piú grandi uomini si sono ben accorti di quell'impostura divina, se cosí si può dire, se pure, dopo Socrate, il timore della cicuta li abbia costretti al silenzio.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XII, pagg. 814-816)