Lacan, Su Freud e l’inconscio

Jacques Lacan (1901-1981), psicanalista e filosofo, fondò una propria scuola dopo essere uscito dalla Associazione Internazionale di Psicanalisi. Fra i punti centrali del suo pensiero vi è il ritorno a Freud e alla sua grande scoperta, l’inconscio. Un altro elemento importante è la centralità dell’ordine simbolico, figura intermedia e frutto del dialogo continuo che avviene nella coscienza fra l’ordine logico e l’attività dell’inconscio.

In questa lettura egli focalizza l’attenzione sull’importanza della scoperta dell’inconscio (l’Altro) da parte di Freud, a cui segue un duro giudizio sulla scuola psicanalitica.

 

L. Lacan, L’istance de la lettre dans l’incoscient ou la raison depuis Freud, [L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud, 1957], trad. it. in Scritti, Einaudi, Torino, 1974, pagg. 213-215

 

Ma se si misconosce la radicale eccentricità di sé a se stesso cui l’uomo è posto di fronte, in altri termini la verità scoperta da Freud, si mancheranno l’ordine e le vie della mediazione psicanalitica, se ne farà l’operazione di compromesso cui è di fatto giunta, cioè a ciò che piú è ripudiato tanto dallo spirito di Freud quanto dalla lettera della sua opera: perché, dato che la nozione di compromesso è da lui incessantemente invocata come ciò che sostiene tutte le miserie cui la sua analisi viene in soccorso, si può dire che il ricorso al compromesso, esplicito o implicito che sia, disorienta tutta l’azione psicanalitica e la fa piombare nel buio.

Ma non basta nemmeno strofinarsi con le tartuferie moralizzanti del nostro tempo, e riempirsi la bocca della “personalità totale” per avere anche solo detto qualcosa di articolato sulla possibilità della mediazione.

La radicale eteronomia di cui la scoperta di Freud ha mostrato nell’uomo la beanza, non può piú essere ricoperta senza fare di tutto ciò che si usa a questo scopo una fondamentale disonestà.

Quale è dunque questo altro cui sono piú attaccato che a me, se nelle piú intime pieghe della mia identità a me stesso è lui che mi agita?

La sua presenza non può essere compresa che a un grado secondo dell’alterità, che già lo situa in posizione di mediazione in rapporto al mio sdoppiamento da me stesso come da un simile.

Se ho detto che l’inconscio è il discorso dell’Altro con 1’A maiuscola, è per indicare l’aldilà in cui il riconoscimento del desiderio si lega al desiderio di riconoscimento.

In altri termini, questo è l’Altro che è invocato persino dalla mia menzogna come garante della verità in cui sussiste.

[...]

Forse questo impero della confusione, che è semplicemente quello in cui si gioca tutta l’opera buffa umana, merita che ci si fermi su di esso per comprendere le vie attraverso cui procede l’analisi, non solo per ristabilirvi un ordine, ma anche per installare le condizioni della possibilità del suo ristabilimento.

Kern unseres Wesen, “il nucleo del nostro essere”, non è tanto a questo che Freud ci ordina di tendere, come tanti altri hanno fatto prima di lui con il vano adagio “Conosci-te-stesso”, quanto piuttosto sono le vie che a esso conducono che ci dà da rivedere.

O piuttosto, ciò che ci propone di raggiungere non è ciò che può essere oggetto di una conoscenza, ma ciò, e lo dice, che fa il mio essere, e di cui, egli insegna, io testimonio altrettanto e ancor di piú nei miei capricci, nelle mie aberrazioni, nelle mie fobie e nei miei feticci, che nel mio personaggio vagamente incivilito.

Follia, non sei piú l’oggetto dell’ambiguo elogio in cui il saggio ha sistemato la tana inespugnabile del suo timore. Se dopotutto non vi è alloggiato troppo male, è perché l’agente supremo che da sempre ne scava le gallerie e il dedalo è la ragione stessa, è lo stesso Logos che serve.

Cosí come potreste concepire che un erudito, cosí poco dotato per gli “impegni” che lo sollecitano, nel suo tempo come in ogni altro, quale era Erasmo, abbia occupato un posto cosí eminente nella rivoluzione di una Riforma in cui l’uomo era interessato in ogni uomo come in tutti?

Il fatto è che per poco che si tocchi la relazione dell’uomo col significante, – qui, conversione dei procedimenti dell’esegesi, – si cambia il corso della sua storia modificando gli ormeggi del suo essere.

Per questo il freudismo, per quanto incompreso sia stato, per quanto confuso ciò che ne è seguito, appare a ogni sguardo capace di intravvedere i cambiamenti che abbiamo vissuto nella nostra vita, come quello che costituisce una rivoluzione inafferrabile ma radicale. È vano accumulare le testimonianze: tutto ciò che interessa non solo le scienze umane, ma il destino dell’uomo, la politica, la metafisica, la letteratura, le arti, la pubblicità, la propaganda, e quindi, non ho alcun dubbio, l’economia, ne è stato intaccato.

Si tratta però forse di qualcosa d’altro dagli effetti non accordati di una verità immensa in cui Freud ha tracciato una vita pura? Bisogna dire che questa via non è seguita, in ogni tecnica che vanta solo la categorizzazione psicologica del suo oggetto, come appunto la psicanalisi d’oggi al di fuori da un ritorno alla scoperta freudiana.

Cosí la volgarità dei concetti cui la sua pratica si affida, le abborracciature di pseudofreudismo che non sono piú che orpelli, non meno di ciò che bisogna pur chiamare il discredito in cui prospera, tutto ciò testimonia del suo fondamentale rinnegamento.

Freud con la sua scoperta ha fatto rientrare all’interno del cerchio della scienza quella frontiera tra l’oggetto e l’essere che sembrava segnarne il limite.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pagg. 240-243