Leibniz, Il problema della fondazione

Con il Discorso di metafisica (1686) Leibniz aveva già definito, nelle linee essenziali, il suo sistema filosofico. In questa lettera, scritta nel 1697 (dunque oltre dieci anni dopo), Leibniz insiste sul carattere metafisico della filosofia, cioè sulla necessità di trovare per essa - come per la teologia e per tutte le scienze - un metodo di fondazione: un metodo per fissare punti di partenza (princípi primi) “in maniera compiuta” e “al riparo dalle dispute”.

 

W. Leibniz‚ Lettera a Thomas Burnett, Hannover, 1-11 febbraio 1697

 

Ho notato piú volte, tanto in filosofia quanto in teologia, e anche in materia di medicina, di giurisprudenza e di storia, che noi abbiamo un'infinità di buoni libri e di buoni pensieri dispersi qua e là, ma che non perveniamo quasi mai a fondazioni: chiamo fondazione quel procedimento che giunge a fissare in maniera compiuta almeno alcuni punti e mette certe tesi al riparo dalle dispute, per progredire e avere alcuni fondamenti sui quali poter costruire. È propriamente il metodo dei matematici che separano certum ab incerto, inventum ab inveniendo [“il certo dall'incerto, ciò che stato scoperto da ciò che è ancora da scoprire”], ed è ciò che in altre materie non facciamo quasi mai perché amiamo rallegrare le orecchie con bei discorsi, che compongono una mescolanza piacevole di certo e d'incerto in modo da far accettare l'uno con il favore dell'altro ...

Ecco dunque ciò che desidero si faccia. Ed ecco qui ora come bisognerebbe procedere. Distinguo le proposizioni di cui vorrei si facessero fondazioni in due specie. Le une possono essere dimostrate in maniera assoluta, con una necessità metafisica e in modo incontestabile; le altre possono essere dimostrate moralmente, cioè in un modo che produce ciò che si chiama certezza morale: cosí come noi sappiamo che c'è una Cina o un Perú, benché non li abbiamo mai visti e non ne abbiamo dimostrazione assoluta. Sant'Agostino, nel suo libro De utilitate credendi, ha già fatto alcune buone riflessioni su questa specie di certezza. È la stessa certezza con la quale sappiamo che ora, mentre scriviamo e leggiamo questa lettera, non stiamo sognando, anche se a Dio sarebbe possibile farci apparire tutte le cose in un sogno cosí come ci appaiono adesso, e perció non c'è necessità metafisica che ci assicuri che noi non sognamo.

Dunque le verità e le conclusioni teologiche sono anch'esse di due specie: le une hanno una certezza metafisica e le altre una certezza morale. Le prime presuppongono definizioni, assiomi e teoremi, presi dalla vera filosofia e dalla teologia naturale; le seconde presuppongono in parte la storia e i fatti, e in parte l'interpretazione dei testi. Ma, per servirsi bene di questa storia e di questi testi - e per provare la verità e l'antichità dei fatti, l'autenticità e la divinità dei nostri libri sacri, nonché l'antichità ecclesiastica e lo stesso senso dei testi - bisogna di nuovo ricorrere alla vera filosofia e in parte alla giurisprudenza naturale. Perciò una tale opera sembra richiedere non soltanto la storia e la teologia ordinaria, ma anche la filosofia, la matematica e la giurisprudenza.

Infatti la filosofia ha due parti, quella teorica e quella pratica. La filosofia teorica è fondata sulla vera analisi, della quale i matematici danno dei saggi, ma che si deve anche applicare alla metafisica e alla teologia naturale in modo da fornire buone definizioni e assiomi solidi. Ma la filosofia pratica è fondata sulla vera topica o dialettica, cioè sull'arte di valutare i gradi delle prove, che non si trova ancora negli scrittori di logica, ma della quale i soli giuristi hanno dato esempi che non sono da disprezzare e che possono servire da avviamento per elaborare la scienza delle prove, adatta a verificare i fatti storici, e per interpretare il senso dei testi. Giacché sono proprio i giuristi che si occupano abitualmente di queste due cose nei processi.

Cosí, prima che si possa trattare la teologia con il metodo delle fondazioni, come lo chiamo, occorre una metafisica, o teologia naturale dimostrativa; e occorrono anche una dialettica morale e una giurisprudenza naturale, mediante la quale si apprenda tramite dimostrazioni come valutare i gradi delle prove. Infatti molti argomenti probabili congiunti insieme producono qualche volta una certezza morale e qualche volta no. Occorre dunque un metodo certo per poterlo determinare. Giustamente si dice spesso che la ragioni non devono essere contate ma pesate; tuttavia nessuno ci ha dato ancora questa bilancia che deve servire a pesare la forza delle ragioni. é questo uno dei maggiori difetti della nostra logica, di cui risentiamo anche nelle materie piú importanti e piú serie della vita, che riguardano la giustizia, la tranquillità e il bene dello stato, la salute degli uomini e perfino la religione.

 

(C. Borghero, a cura di, Conoscenza e natura della storia da Cartesio a Voltaire, Loescher, Torino 1990, pagg. 117-119)