L'apologo dell'asino che muore
perché non sa scegliere fra due campi in cui pascolare, proposto dal filosofo
Giovanni Buridano (1290-1358), discepolo di Guglielmo di Ockham, viene
utilizzato da Leibniz per ribadire il rifiuto del meccanicismo e la necessità
della scelta anche quando le sue motivazioni sono spesso ignote anche a chi
sceglie.
G. W. Leibniz, Saggi di
Teodicea, parte I
49. Da ciò segue altresí che il
caso dell'asino di Buridano, fra due prati, ugualmente portato all'uno e
all'altro, è una finzione che non potrebbe verificarsi nell'Universo,
nell'ordine della natura, benché il Bayle abbia altra opinione. È vero che, se
il caso fosse possibile, bisognerebbe dire che si lascerebbe morir di fame; ma,
in fondo, la questione verte sull'impossibile, a meno che Dio non produca la
cosa espressamente. Infatti l'Universo non potrebbe esser diviso in due parti
da un piano condotto per il mezzo dell'asino, tagliato verticalmente nel senso
della sua lunghezza, in maniera che tutto sia uguale e simile da una parte e
dall'altra, come un'ellissi o come ogni figura piana, della categoria di quelle
che io chiamo “anfidestre” [a due lati], per esser cosí divisa in due parti
uguali da una linea retta qualsiasi passante per il suo centro: infatti né le
parti dell'Universo, né le viscere dell'animale sono simili, né ugualmente
situate dai due lati di questo piano verticale. Si avranno dunque molte cose
dell'asino e fuori dell'asino, sebbene non ci appaiano, che lo determineremmo
ad andare da una parte piuttosto che dall'altra; e quantunque l'uomo sia
libero, mentre l'asino non lo è, non è meno vero, per la stessa ragione, che
anche nell'uomo il caso d'un perfetto equilibrio tra due partiti è impossibile,
e che un angelo, o almeno Dio, potrebbe sempre render ragione del partito che
l'uomo ha preso, assegnando una causa o una ragione inclinante che l'ha indotto
realmente a prenderlo, benché questa ragione sia spesso molto complessa ed
inconcepibile a noi stessi, perché il concatenamento delle cause legate tra
loro va lontano.
(G. W. Leibniz, Monadologia e
Saggi di Teodicea, Carabba, Lanciano, 1930, pagg. 121-124)