Alla fine della Prefazione dei Nuovi saggi, Leibniz
sottolinea un punto di accordo con Locke: la materia non produce in maniera
meccanica i sentimenti e la ragione. Resta però grande il disaccordo sulla
questione di fondo, cioè sulla conoscibilità della sostanza. Si ha diritto di
negare ciò che non è assolutamente comprensibile e spiegabile dalla ragione, ma
la sostanza non rientra - come voleva Locke - in questa categoria: essa rientra
nell'ordine della natura e può essere compresa con gli strumenti naturali della
conoscenza. La sostanza, infine, non può scindersi - come pretendevano i
cartesiani -: essa è una, e in essa materia e pensiero sono congiunti.
G. W. Leibniz, Nuovi saggi
sull'intelletto umano, Prefazione
Su tutto
ciò osservo, prima di giungere a spiegare la mia dottrina, che senza alcun
dubbio la materia è altrettanto poco capace di produrre meccanicamente sia il
sentimento che la ragione, come il nostro autore riconosce; che, in verità,
ammetto che non è concesso negare ciò che non si capisce, ma aggiungo, però,
che si ha diritto di negare (almeno nell'ordine naturale) ciò che è
assolutamente inintelligibile e inesplicabile. Sostengo, inoltre, che le
sostanze (materiali o immateriali) non possono essere concepite nella loro
essenza nuda senza attività, e che l'attività appartiene all'essenza della
sostanza in generale; e che, infine, la capacità di capire delle creature non è
la misura del potere di Dio, ma che la loro concettività, o forza di concepire,
è la misura del potere della natura: tutto ciò che è conforme all'ordine
naturale può essere concepito o inteso da una qualche creatura.
[...]
Per quel
che ora riguarda il pensiero, non c'è dubbio - e l'autore lo riconosce piú
d'una volta - che questo non può essere una modificazione intelligibile della
materia; ossia, che l'essere senziente, o pensante, non è una cosa meccanica,
come un orologio o come un mulino: quasi si potessero concepire grandezze,
figure e movimenti la cui composizione meccanica possa produrre qualcosa di
pensante, o anche di senziente, in una massa non dotata di tali proprietà, che
tornerebbe a perderle quando la macchina si guastasse. Non è dunque una
proprietà naturale alla materia il sentire e il pensare. In essa, ciò non può
accadere che in due modi: o perché Dio vi congiunga una sostanza a cui sia
naturale il pensare, o perché Dio vi ponga il pensiero per miracolo. Su ciò,
dunque, condivido del tutto l'opinione dei cartesiani, salvo che la estendo
fino alle bestie, ammettendo che anch'esse abbiano sensibilità e anime
immateriali (per parlare propriamente), e altrettanto poco corruttibili quanto
gli atomi di Democrito o di Gassendi; mentre i cartesiani si trovano
continuamente in imbarazzo di fronte alle anime delle bestie, e non sanno che
cosa farne, ammettendo che si conservino (non avendo pensato ad ammettere la
conservazione dell'animale, in dimensioni ridotte): sicché sono costretti a
rifiutare alle bestie anche la sensibilità, contro tutte le apparenze, e contro
il sano giudizio del genere umano.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 214, 215-216)