Nel 1714 Leibniz scrisse in
francese due brevi “sommari” nei quali sintetizzava i punti essenziali della
propria filosofia: Princípi della Natura e della Grazia fondati sulla ragione e I
princípi della filosofia o Monadologia (il titolo Monadologia
non è di Leibniz, ma fu aggiunto dal traduttore tedesco). Entrambi gli scritti,
furono pubblicati postumi, nel 1718 e nel 1720, si aprono con la definizione
della “monade”, cioè della sostanza semplice costitutiva di tutte le cose.
a) Uno e molteplice (G. W. Leibniz, Princípi della Natura e della Grazia fondati sulla ragione, 1-3)
1. La sostanza è un essere capace
di azione. Essa è semplice o composta. La sostanza semplice è quella che non ha
parti. La composta è l'unione delle sostanze semplici o delle monadi. Monás
è un termine greco, che significa unità, o ciò che è uno. I composti o i corpi
sono moltitudini: le sostanze semplici, le vite, le anime, gli spiriti sono
unità. Ed è necessario che ovunque vi siano sostanze semplici, perché senza il
semplice non vi sarebbe nulla di composto. Di conseguenza tutta la natura è
piena di vita.
2. Le monadi, non avendo parti,
non possono essere formate né disfatte: esse non possono cominciare né finire
secondo natura, perché durano quanto l'Universo che potrà essere modificato ma
non distrutto. Esse non possono avere figure, altrimenti avrebbero parti: una
monade, perciò, non può in se stessa e nel momento essere distinta da un'altra
che per qualità e azioni interne, le quali non possono essere altro che le sue
percezioni (cioè le rappresentazioni, nel semplice, del composto o di ciò che è
esterno); e le sue appetizioni (cioè le tendenze da una percezione all'altra),
che costituiscono i princípi del cambiamento. La semplicità della sostanza,
infatti, non esclude la molteplicità delle modificazioni, che devono trovarsi
insieme nella stessa sostanza semplice e che devono consistere nella varietà
dei rapporti con le cose che le sono esterne. é come un centro o punto, nel
quale, per quanto semplice, si trovano una infinità di angoli, formati dalle
rette che vi concorrono.
3. Nella natura tutto è pieno;
ovunque vi sono sostanze semplici, effettivamente separate le une dalle altre,
in forza di azioni proprie che cambiano continuamente i loro rapporti, e
ciascuna sostanza semplice o monade separata, che costituisce il centro di una
sostanza complessa (come per esempio di un animale), ed il principio della sua
unicità, è circondata da una massa composta di una infinità di altre monadi,
che costituiscono il suo corpo organico, proprio di quella monade centrale,
seguendo le cui modificazioni quella monade si rappresenta, come in una specie
di centro, le cose che le sono esterne. Questo corpo, poi, è organico, quando
costituisce una specie di automa o una macchina della natura, macchina non solo
nel tutto, ma anche nelle parti piú piccole che è possibile osservare. E poiché
a causa della pienezza del mondo tutto è connesso, e ciascun corpo agisce su
ciascun altro corpo, piú o meno a seconda della distanza, e per reazione ne
viene modificato: ne deriva di conseguenza che ogni monade è uno specchio
vivente, dotato di una attività interna, che si rappresenta l'Universo secondo
il proprio punto di vista, ed è altrettanto regolata che l'Universo stesso. Le
percezioni poi all'interno della monade nascono le une dalle altre in virtú
delle leggi dell'appetizione o delle cause finali del bene e del male, che
consistono nelle percezioni osservabili, regolate o no: cosí come i mutamenti
dei corpi e i fenomeni esterni nascono in virtú delle leggi delle cause
efficienti, cioè dei movimenti. Vi è cosí un'armonia perfetta tra le percezioni
della monade e i movimenti dei corpi, un'armonia prestabilita fin dal principio
tra il sistema delle cause efficienti e quello delle cause finali; ed è in essa
che consistono l'accordo e l'unione fisica dell'anima e del corpo, senza che
l'uno possa mutare le leggi dell'altra.
(G. W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino, 1967,
vol. I, pagg. 274-275)
b) “Le monadi non hanno finestre” (G. W. Leibniz, Monadologia, 1-7)
1. La monade, di cui parleremo
qui, non è che una sostanza semplice, la quale entra nei composti; semplice,
vale a dire senza parti.
2. Bisogna che vi siano sostanze
semplici dal momento che vi sono dei composti; poiché il composto non è che un
ammasso, o aggregato, di semplici.
3. Ora, dove non si hanno parti,
non c'è estensione, né figura, né divisibilità possibile. E queste monadi sono
i veri atomi della natura, e, in una parola, gli elementi delle cose.
4. Cosí non si ha timore di dissoluzione,
e non si può concepire alcuna maniera per la quale una sostanza semplice possa
perire naturalmente.
5. Per lo stesso motivo non ve
n'è alcuna per la quale una sostanza semplice possa naturalmente cominciare,
poiché essa non potrebbe essere formata mediante composizione.
6. Cosí si può dire che le monadi
non saprebbero aver un principio, né una fine se non tutto d'un tratto, cioè,
esse non potrebbero aver inizio che per creazione e finire che per
annientamento: mentre ciò che è composto comincia o finisce gradualmente.
7. Non è parimenti possibile
spiegare come una monade possa venir alterata, o mutata nel suo interno da
qualche altra creatura, dal momento che non potrebbe aver luogo alcuna
trasposizione, né potrebbe concepirsi in essa alcun movimento interno che possa
essere eccitato, diretto, aumentato o diminuito; il che è possibile nei
composti, nei quali si hanno dei cambiamenti fra le parti. Le monadi non hanno
finestre, per le quali possa entrare oppure uscire qualche cosa. Gli accidenti
non potrebbero staccarsi, né passeggiare fuori dalle sostanze, come un tempo
facevano le “specie sensibili” degli scolastici. Quindi né sostanza né
accidente potrebbero entrare dall'esterno in una monade.
(G. W. Leibniz, Monadologia e
Saggi di Teodicea, Carabba, Lanciano, 1930, pagg. 21-23)