La dimostrazione che presuppone
ciò che intende dimostrare può essere considerata un sofisma, cioè un artificio
retorico. Ma per quanto riguarda la dimostrazione dell'esistenza di Dio secondo
l'argomentazione ontologica non si tratta - per Leibniz - di un ragionamento
vuoto: esso ha bisogno soltanto di essere integrato e completato.
G. W. Leibniz, Sulla
dimostrazione cartesiana dell'esistenza di Dio, del R. P. Lamy
Ho già espresso altrove la mia
opinione sulla prova dell'esistenza di Dio di sant'Anselmo, rinnovata da
Descartes, la cui sostanza è che ciò che racchiude nella sua idea tutte le
perfezioni, o il piú grande di tutti gli esseri possibili, implica nella sua
essenza la sua esistenza, perché l'esistenza è una delle perfezioni, e perché
altrimenti una cosa potrebbe essere aggiunta a ciò che è perfetto. Io tengo il
mezzo tra coloro che ritengono che questo ragionamento è un sofisma, e
l'opinione del R. P. Lamy, [...] che la ritiene una dimostrazione completa.
Infatti ammetto che è una dimostrazione, ma imperfetta; perché domanda o
suppone una verità che a sua volta merita di essere dimostrata. Si suppone
tacitamente, che Dio, o l'essere perfetto, sia possibile. Se questo punto fosse
dimostrato come si deve, si potrebbe dimostrare che l'esistenza di Dio sarebbe
dimostrata geometricamente, a priori. Ciò conferma quanto ho già detto
che si può ragionare perfettamente sulle idee, se si conosce la loro
possibilità; cosa della quale si sono preoccupati i geometri, ma non i
cartesiani. Nondimeno si può dire che quella dimostrazione resta sempre degna
di considerazione e, per cosí dire, presuntiva, perché tutto deve essere
considerato come possibile, finché non se ne prova l'impossibilità. Dubito però
che il R. P. Lamy, abbia avuto motivo per affermare che fu adottata dalla
Scolastica; infatti l'autore della nota marginale osserva molto bene che san
Tommaso l'aveva rifiutata. Comunque, si potrebbe formare una dimostrazione
ancora piú semplice, senza parlare affatto delle perfezioni, per non essere
fermati da coloro che eventualmente negassero che tutte le perfezioni siano
compatibili, e che quindi l'idea in questione sia possibile. Infatti, dicendo
soltanto che Dio è un Essere per sé o un originario Ens a se ciò che
esiste per la sua essenza, è facile concludere da questa definizione che un
tale essere, se è possibile, esiste; o meglio, questa conclusione è un
corollario che si trae immediatamente dalla definizione e non ne differisce
quasi per nulla. Infatti, poiché l'essenza della cosa non è altro che la sua
possibilità in particolare, è ben chiaro che esiste in virtú della propria
essenza, è esistere in virtú della propria possibilità. E se l'Essere per sé
fosse definito in termini piú precisi, dicendo che è l'Essere che deve esistere
perché è possibile, è evidente che tutto ciò che potrebbe dirsi contro
l'esistenza di un tale essere, sarebbe di negarne la possibilità. Si potrebbe,
anzi, fondare sull'argomento, una proposizione modale, che sarebbe uno dei
frutti piú belli della logica, e cioè che se l'Essere necessario è possibile,
esiste. Infatti essere necessario e l'Essere per propria essenza è lo stesso.
Considerato da questo punto, il ragionamento sembra avere molta solidità, e
coloro che vogliono che dalle sole nozioni, idee e definizioni o essenze
possibili non si può in alcun modo inferire l'esistenza in atto, ricadono in
effetti in ciò che ho detto or ora; negano, cioè, la possibilità dell'Essere in
sé. Ma è bene osservare che questo rimprovero serve a far conoscere che hanno
torto ed a colmare cosí il vuoto della dimostrazione. Infatti, se l'Essere in
sé è impossibile, tutti gli esseri che dipendono da altri lo saranno anch'essi,
perché non sono che in forza dell'Essere in sé: cosicché nulla potrebbe esistere.
Questo ragionamento ci conduce a un'altra importante proposizione modale,
uguale alla precedente e che, congiunta ad essa, completa la dimostrazione. La
si potrebbe enunciare cosí: se l'Essere necessario non esiste, non v'è alcun
essere possibile. Mi sembra che questa dimostrazione sino al presente, non sia
stata portata tanto avanti: ma io ho cercato di provare che l'Essere perfetto è
possibile.
(G. W. Leibniz, Scritti
filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. I, pagg. 259-260)