Nel confronto con Locke, Leibniz
non nega che il processo conoscitivo debba ricorrere ai dati dell'esperienza
sensibile, ma afferma che anche l'intelletto vi partecipa con un ruolo attivo.
Questo atteggiamento “conciliante” lo porta a prendere posizione anche contro i
cartesiani, che rappresentano il rovesciamento speculare e simmetrico degli
empiristi.
a) Le nostre conoscenze non sono sempre tutte presenti alla mente (G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, Prefazione)
Il nostro egregio autore [J. Locke] sembra invece affermare
che in noi non c'è nulla di virtuale e di cui non abbiamo sempre una
appercezione attuale. Ma egli non può sostenere ciò fino in fondo, perché
altrimenti la sua opinione sarebbe troppo paradossale, in quanto le abitudini
acquisite e gli stessi contenuti della nostra memoria non sono sempre
appercepiti e non vengono sempre in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno,
benché spesso noi li ricollochiamo agevolmente nello spirito quando una pur
leggera occasione ce li faccia ricordare, come il semplice inizio ci fa
ricordare tutta una canzone.
(G. W. Leibniz,
Scritti filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. II, pagg. 171-172)
b) Le percezioni sono necessarie (G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, libro II, X, 4)
Io preferisco che si distingua tra percezione e appercezione.
La percezione della luce o del colore, per esempio, della quale abbiamo
appercezione, è composta da una quantità di piccole percezioni, delle quali non
abbiamo appercezione; ed un suono del quale abbiamo percezione, ma al quale non
poniamo attenzione, diventa appercepibile con una piccola addizione o
incremento. Infatti se ciò che precede non producesse nulla sull'anima, anche
questo piccolo incremento non produrrebbe nulla e la totalità neppure.
(G. W. Leibniz,
Scritti filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. II, pagg. 257-258)
c) Il grave errore dei cartesiani (G. W. Leibniz, Monadologia, 14)
Lo stato passeggero, che implica o rappresenta una
molteplicità nell'unità o sostanza semplice, non è altro che ciò che è chiamato
percezione, e che deve essere distinta dall'appercezione o
coscienza, come si vedrà in seguito. Ed è su questo punto che i cartesiani
hanno sbagliato gravemente, avendo considerato come un nulla le percezioni
delle quali non si abbia appercezione.
(G. W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino,
1967, vol. I, pagg. 284-285)