Una volta accertata razionalmente
la possibilità dell'esistenza di Dio (e quindi la sua effettiva esistenza come
“Essere necessario”), Leibniz si trova di fronte a una difficoltà di tipo metafisico:
la natura del rapporto fra necessità e contingenza. I termini della questione,
secondo Leibniz, possono essere chiariti attraverso i concetti di “ragion
sufficiente”, di “verità di ragione” e di “verità di fatto”.
G. W. Leibniz, Monadologia,
31-40
31. I nostri ragionamenti sono
fondati su due grandi princípi, quello di contraddizione, in virtú del quale
noi giudichiamo falso ciò che implica contraddizione e vero ciò che è opposto o
contraddittorio al falso.
32. E quello di ragion
sufficiente, in virtú del quale consideriamo che nessun fatto può essere
vero o esistente e nessuna proposizione vera, senza che vi sia una ragione
sufficiente perché sia cosí e non altrimenti, per quanto queste ragioni il piú
delle volte non possano esserci conosciute.
33. Vi sono pure due specie di
verità, quelle di ragione, e quelle di fatto. Le verità di
ragione sono necessarie ed il loro opposto è impossibile, quelle di fatto sono
contingenti ed il loro opposto è possibile. Quando una verità è necessaria, è
possibile trovarne la ragione, mediante l'analisi, risolvendola in idee e
verità piœ semplici, fino a quando non si giunga alle verità primitive.
34. Ed è perciò che nelle
matematiche i teoremi speculativi ed i canoni pratici sono ricondotti,
mediante l'analisi, alle definizioni, agli assiomi ed ai postulati.
35. Vi sono infine idee semplici
delle quali non è possibile dare la definizione: cosí vi sono assiomi e
postulati, in una parola, princípi primitivi, che non possono essere provati,
perché non hanno bisogno di prova: sono enunciati identici, il cui
opposto contiene una contraddizione manifesta.
36. Ma la ragione sufficiente
si deve trovare anche nelle verità contingenti o di fatto cioè
nella serie delle cose sparse nell'universo delle creature; in esse la risoluzione
in ragioni particolari può essere spinta senza limiti, a causa dell'immensa
varietà delle cose della natura e della divisione dei corpi all'infinito. C'è
un'infinità di figure e di movimenti, presenti e passati, che entrano nella
causa efficiente del mio presente scrivere, e c'è una infinità di piccole
inclinazioni e di disposizioni della mia anima, presenti e passate, che entrano
nella causa finale.
37. E siccome tutto questo
dettaglio non implica se non altri contingenti anteriori, ancora piú particolareggiati,
ciascuno dei quali ha bisogno, perché se ne possa rendere ragione, di
un'analisi simile, a questo modo non si avanza affatto e bisogna che la ragione
sufficiente o ultima sia al di fuori della successione o della serie di questi
dettagli delle contingenze, per quanto infinita possa essere.
38. È perciò che la ragione
ultima delle cose deve trovarsi in una sostanza necessaria, nella quale il
dettaglio dei mutamenti si trovi in modo eminente come in una fonte: è quello
che chiamiamo Dio.
39. Ora, poiché questa sostanza è
la ragione sufficiente di tutto quel dettaglio, che cosí è tutto legato, non
c'è che un solo Dio e questo Dio è sufficiente.
40. Si può inoltre affermare che
questa sostanza suprema, che è l'unica universale e necessaria, non avendo
nulla al di fuori di sé che sia da essa indipendente ed essendo una conseguenza
diretta dell'essere possibile, deve essere incapace di limiti e contenere la
massima quantità possibile di realtà.
(G. W. Leibniz, Scritti
filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. I, pagg. 288-289)