Il metodo matematico costituisce
per Leibniz un modello per tutte le scienze e per la filosofia. Il modello matematico
permette di sviluppare una conoscenza rigorosamente deduttiva, inconciliabile
con l'empirismo di Locke, che presuppone invece una mente del tutto vuota (tabula
rasa) perché possa essere “impressionata” dai dati sensibili e formulare
cosí le proprie idee.
G. W. Leibniz, Nuovi saggi
sull'intelletto umano, Prefazione ( pag. 229)
La nostra
discordia verte su punti di una certa importanza. Si tratta di sapere se
l'anima sia in se stessa del tutto vuota, a guisa di una tavoletta su cui non
si sia ancora scritto nulla (tabula rasa), come vogliono Aristotele e
l'autore del Saggio [J. Locke], e se tutto ciò che vi è tracciato derivi
unicamente dal senso e dall'esperienza, o se, invece, l'anima contenga
originariamente i princípi di molte nozioni e dottrine, che gli oggetti esterni
non fanno altro che svegliare, come occasioni: come io credo con Platone, e
anche con gli Scolastici, e con tutti coloro che danno questo significato al
passo di san Paolo (Epistola ai Romani, 2, 15) in cui egli afferma che
la legge di Dio è “scritta nei cuori”. [...]
Nasce, di
qui, un altro problema: e cioè se tutte le verità dipendano dall'esperienza,
ossia dall'induzione e dai casi particolari, o se ve ne siano alcune che hanno
anche un altro fondamento. Se, infatti, taluni eventi si lasciano prevedere
prima di averne fatto un qualsiasi esperimento, è palese che noi vi conferiamo
qualcosa da parte nostra. Le sensazioni sebbene necessarie per tutte le nostre
conoscenze in atto, non bastano punto a darci tutte le nostre conoscenze in
genere: poiché esse non offrono mai altro che casi singoli, vale a dire verità
particolari o individuali. Ma tutti gli esempi che confermano una verità
generale, per quanto numerosi essi siano, non bastano a stabilire la verità
universale di tale proposizione: non ne deriva, infatti, che ciò che è accaduto
accadrà sempre allo stesso modo. Per esempio, i Greci e i Romani e tutti gli
altri popoli della Terra conosciuta dagli antichi, hanno sempre osservato che,
prima del decorso di 24 ore, il giorno si cangia in notte e la notte in giorno.
Ma ci s'ingannerebbe se si credesse che la medesima regola si osserva ovunque,
dopo che si è esperimentato che nella Nuova Zemplia accade il contrario. E,
ancora, si ingannerebbe chi considerasse ciò una verità necessaria ed eterna
per lo meno nei nostri climi: si deve infatti considerare che neppure la Terra
e il Sole esistono necessariamente, e che vi sarà forse un tempo in cui questo
astro splendente non sarà piú, almeno nella sua forma attuale, e, con lui,
tutto il suo sistema. Si scorge, di qui, che le verità necessarie, quali si
trovano nelle matematiche pure, e particolarmente nell'aritmetica e nella
geometria, devono avere princípi la cui prova non dipende punto dagli esempi,
né, di conseguenza, dall'attestazione dei sensi, anche se, senza i sensi, non
si avrebbe mai l'occasione di pensarci. é questa una cosa che occorre
distinguere bene; ed Euclide l'ha cosí ben capita che egli dimostra con la
ragione anche ciò che si constata a sufficienza con l'esperienza e con le
immagini sensibili. Anche la logica, con la metafisica e la morale - che danno
luogo, in un caso, alla filosofia naturale, e nell'altro alla giurisprudenza
naturale - sono piene di verità siffatte. Di conseguenza la loro prova non può
derivare se non da princípi interni, che si chiamano innati.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 198-199)