Lenin, Lo Stato è il prodotto degli antagonismi di classe

Lenin ricorda che lo Stato è il prodotto degli antagonismi di classe e che questi antagonismi sono fra loro inconciliabili. Qualsiasi politica di conciliazione fra le classi è inaccettabile perché non può esserci conciliazione fra oppressori ed oppressi. In questo brano è presente la polemica con gli esponenti russi e tedeschi della Seconda Internazionale. La rivoluzione del 1917 a cui Lenin fa cenno è ovviamente quella di febbraio.

 

Lenin, Stato e rivoluzione

 

Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l’idea fondamentale del marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili fra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l’esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili.

È precisamente su questo punto di capitale e fondamentale importanza che comincia la deformazione del marxismo, deformazione che segue due linee principali.

Da un lato gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di classe, “correggono” Marx in modo tale che lo Stato appare come l’organo della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non potrebbe né sorgere né sussistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei – che molto spesso si riferiscono compiacentemente a Marx – lo Stato concilia precisamente le classi. Per Marx lo Stato è l’organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra; è la creazione di un “ordine” che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici piccolo-borghesi l’ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l’oppressione di una classe da parte di un’altra; moderare il conflitto vuol dire conciliare e non già togliere alle classi oppresse gli strumenti e i mezzi di lotta determinati per rovesciare gli oppressori.

Cosí nella rivoluzione del 1917, quando la questione del significato e della funzione dello Stato si pose in tutta la sua ampiezza, si pose praticamente come un problema di azione immediata, e, per di piú, di azione di massa, tutti i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi caddero subito e appieno nella teoria piccolo-borghese della “conciliazione” delle classi “per opera dello Stato.” Innumerevoli risoluzioni e articoli di uomini politici di quei due partiti sono profondamente impregnati di questa teoria piccolo-borghese e filistea della “conciliazione.” Che lo Stato sia l’organo di dominio di una classe determinata, che non può essere conciliata col suo antipode (la classe che è al polo opposto), la democrazia piccolo-borghese non sarà mai in grado di capirlo. L’atteggiamento dei nostri socialisti-rivoluzionari e dei nostri menscevichi verso lo Stato è una delle prove piú evidenti che essi non sono affatto dei socialisti (ciò che noi, bolscevichi, abbiamo sempre dimostrato), ma dei democratici piccolo-borghesi che usano una fraseologia quasi socialista.

D’altra parte, la deformazione “kautskiana” del marxismo è molto piú sottile. “Teoricamente” non si contesta che lo Stato sia l’organo del dominio di classe, né che gli antagonismi di classe siano inconciliabili. Ma si trascura o attenua quanto segue: se lo Stato è un prodotto dell’inconciliabilità degli antagonismi di classe, se esso è una forza che sta al di sopra della società e che “si allontana sempre piú dalla società,” è evidente che la liberazione della classe oppressa è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distruzione dell’apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante e nel quale questo “allontanamento” si è materializzato. Questa conclusione, teoricamente di per sé chiara, è stata tratta da Marx con perfetta precisione, come vedremo piú tardi, dall’analisi storica concreta dei compiti della rivoluzione. Kautsky ha... “dimenticato” e travisato appunto questa conclusione, come dimostreremo particolareggiatamente nel seguito del nostro assunto.

 

Lenin, Stato e rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 1968, pagg. 52-54