Questa è una delle ultime composizioni di Leopardi in cui è riproposto il tema della vacuità della condizione umana, in un momento della vita del poeta in cui brevissimo se non del tutto scomparso è il “corso della speme”. Eppure la prima strofa, di cui proponiamo la lettura, è un capolavoro dell’arte poetica di Leopardi che riesce a rendere vita alla morte. I vv. l-7 sono la fotografia impietosa della realtà (“ossa” e “fango”); la stessa crudezza si trova nei vv. l7-l9 (“fango” e “ossa”). Dal fango della decomposizione si erge – come Fenice immortale – la vita, con tutto il suo sangue e la sua linfa e i suoi umori: le orbite cave di un teschio alloggiano di nuovo occhi lucenti, e tutto il corpo di una donna giovane e bella cancella le ossa dello scheletro: Il poeta si abbandona a un amore appassionato per quella vita che egli stesso ha ri-creato.
G. Leopardi, Sopra il ritratto di una bella
donna, vv. l-l9 (l83l-l835)
1 Tal fosti: or qui sotterra
2 polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango
3 immobilmente collocato invano,
4 muto, mirando dell’etadi il volo,
5 sta, di memoria solo
6 e di dolor custode, il simulacro
7 della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,
8 che tremar fe’, se, come or sembra, immoto
9 in altrui s’affisò; quel labbro ond’alto
10 par, come d’urna piena,
11 traboccare il piacer; quel collo, cinto
12 già di desio; quell’amorosa mano,
13 che spesso, ove fu porta,
14 sentí gelida far la man che strinse;
15 e il seno, onde la gente
16 visibilmente di pallor si tinse,
17 furo alcun tempo: or fango
18 ed ossa sei: la vista
19 vituperosa e trista un sasso asconde.
(G. Leopardi, Canti, Newton Compton,
Roma, l996, pagg. l92-l93)