Leopardi
distingue fra le motivazioni del suicidio per gli antichi e quelle per i
moderni: i primi si uccidevano “per eroismo per illusioni per passioni
violente”; i secondi si uccidono perché “stanchi e disperati di questa
esistenza”. La disperazione dei moderni è la conseguenza della rivelazione
della verità da parte della filosofia e della scienza (“Non è piú possibile
l’ingannarci o il dissimulare”). Quindi il suicidio non può essere considerato
pazzia, ma la conseguenza logica di una fredda analisi razionale: se dovessimo
seguire soltanto la ragione nulla ci tratterrebbe dal suicidio. “E pure il
suicidio è la cosa piú mostruosa in natura”. La Natura, infatti, totalmente
indifferente alla felicità e al dolore degli uomini, ha fatto all’uomo –
sicuramente per caso – un dono: il pensiero e l’immaginazione, e quindi la
nostra capacità di produrre illusioni; e ha
offerto cosí la via per evitare il suicidio (e il dolore). Se la natura
dell’uomo fosse soltanto razionalità il suicidio sarebbe naturale; ma poiché la
natura dell’uomo non è soltanto razionalità il suicidio è “mostruoso”.
È evidente che la posizione di Leopardi sul suicidio è
opposta a quella di Schopenhauer.
a) Il suicidio è la cosa piú mostruosa in natura (G. Leopardi, Frammento sul suicidio, l820)
Che
vale il dire che l’uomo è cambiato? Se anche la natura invecchiasse o potesse
mai cambiarsi ec. Ma poiché ec. e la felicità che la natura ci ha destinata, e
le vie d’ottenerla sono sempre immutabili e sole, a che fine ci condurrà
l’averle abbandonate? Che cosa dimostrano tante morti volontarie ec. se non che
gli uomini sono stanchi e disperati di questa esistenza? Anticamente gli uomini
si uccidevano per eroismo per illusioni per passioni violente ec. e le morti
loro erano illustri. ec. Ma ora che l’eroismo e le illusioni sono sparite, e le
passioni cosí indebolite, che vuol dire che il numero dei suicidi è tanto
maggiore, e non solamente nelle persone illustri per grandi sventure come una
volta, e nutrite di grandi immaginazioni, ma in ogni classe, tanto che queste
morti neanche sono piú illustri? Che vuol dire che l’Inghilterra n’è stata
sempre piú feconda che le altre parti? Vuol dire che in Inghilterra si medita
piú che altrove, e dovunque si medita, senza immaginazione ed entusiasmo, si
detesta la vita; vuol dire che la cognizione delle cose conduce il desiderio
della morte ec. Ed ora si vedono morti volontarie fatte con tutta freddezza. E
infatti se togliamo il timore o la speranza del futuro, non è cosí meschino
calcolatore che ragguagliando le partite di una vita nulla e morta e piena di
dolore e di noia certa e inevitabile ec. ec. ec.
E pure
il suicidio è la cosa piú mostruosa in natura ec. ec.
Non è
piú possibile l’ingannarci o il dissimulare. La filosofia ci ha fatto conoscer
tanto che quella dimenticanza di noi stessi ch’era facile una volta, ora è
impossibile. O la immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni riprenderanno
corpo e sostanza in una vita energica e mobile, e la vita tornerà ad esser cosa
viva e non morta, e la grandezza e la bellezza delle cose torneranno a parere
una sostanza, e la religione riacquisterà il suo credito; o questo mondo
diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto. So che questi
parranno sogni e follie, come so ancora che chiunque trent’anni addietro avesse
prenunziata questa immensa rivoluzione di cose e di opinioni della quale siamo
stati e siamo spettatori e parte, non avrebbe trovato chi si degnasse di
mettere in beffa il suo vaticinio ec. In somma il continuare in questa vita
della quale abbiamo conosciuto l’infelicità e il nulla, senza distrazioni vive,
e senza quelle illusioni su cui la natura ha stabilita la nostra vita, non è
possibile.
Tuttavia
la politica segue ad esser quasi puramente matematica, in cambio d’esser
filosofica, quasi che sconvenisse alla filosofia dopo aver distrutto ogni cosa
l’adoprarsi a riedificare (quando anzi questo dev’essere il suo vero oggetto
presentemente, al contrario de’ tempi d’ignoranza), e ch’ella non dovesse mai
fare un gran bene agli uomini, perché fin qui non ha fatto loro altro che beni
piccoli e mali sommi.
Oggetto
primitivo della natura nel variare le cose: la distrazione dell’uomo, e il non
farlo fermare a lungo in nessun oggetto neanche nel piacere il quale dopo lungo
desiderio allora ch’è conseguito ci diventa arena tra le mani, e come quegli
Ebrei che dicevano haec est illa Noemis? cosí noi sempre e
inevitabilmente diciamo allora questo è quel gran piacere? Tutto il piano della
natura intorno alla vita umana si aggira sopra la gran legge di distrazione,
illusione e dimenticanza. Quanto piú questa legge è svigorita tanto piú il
mondo va in perdizione.
Pochissimi
convengono che le cose antiche fossero veramente piú felici delle moderne, e
questi pochissimi le riguardano come cose alle quali non si dee piú pensare
perché le circostanze sono cambiate. Ma la natura non è cambiata e un’altra
felicità non si trova, e la filosofia moderna non si dee vantare di nulla se
non è capace di ridurci a uno stato nel quale possiamo esser felici. O sieno
cose antiche o non antiche, il fatto sta che quelle convenivano all’uomo e
queste no, e che allora si viveva anche morendo, e ora si muore vivendo, e che
non ci sono altri mezzi che quegli antichi per tornare ad amare e a sentir la
vita.
(G. Leopardi, La strage delle illusioni, a cura di M.
A. Rigoni, Adelphi, Milano, l9932, pagg. 5l-54)
b) Il suicidio non è follia (Zibaldone, l83, l820)
La
speranza non abbandona mai l’uomo in quanto alla natura. Bensí in quanto alla
ragione. Perciò parlano stoltamente quelli che dicono (gli autori della Morale
universelle, t. III) che il suicidio non possa seguire senza una specie di
pazzia, essendo impossibile senza questa il rinunziare alla speranza ec. Anzi
tolti i sentimenti religiosi, è una felice e naturale, ma vera e continua
pazzia, il seguitar sempre a sperare, e a vivere, ed è contrarissimo alla
ragione, la quale ci mostra troppo chiaro che non v’è speranza nessuna per noi.
(23 Luglio l820).
(G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di
G. Pacella, Garzanti, Milano, l99l, vol. I, pag. l78)