Locke, Contro ogni regolamentazione dei tassi di interesse

L'11 novembre 1691, in Inghilterra, la Camera dei Comuni approvò una legge che riduceva al 5% il tasso massimo di interesse sui prestiti di denaro (la proposta originale era del 4% e ad essa si riferisce Locke). Quattro giorni prima, John Locke aveva inviato a John Somer, leader del partito whig, un testo dal titolo Some Considerations of the Consequences of the Lowering of Interest and Raising of Value of Money (“Alcune considerazioni sulle conseguenze della riduzione dell'interesse e dell'aumento del valore del denaro”). La legge sulla riduzione dell'interesse fu poi respinta dalla Camera dei Lords.

Locke assume sulla questione un atteggiamento assolutamente “liberista”: nessuna regola può determinare il costo del denaro, perché tale costo deve derivare è come avviene nei fatti è unicamente dalle leggi libere del mercato.

 

J. Locke, Alcune considerazioni sulle conseguenze della riduzione dell'interesse e dell'aumento del valore del denaro, 2

 

La prima cosa da considerare è se il prezzo del fitto [tasso di interesse] del denaro può essere regolato per legge. E, riguardo a ciò, generalmente parlando, penso che si possa affermare che è evidente che non è possibile. Infatti, dal momento che è evidente che non è possibile emanare una legge che impedisca a un uomo di dar via il suo denaro o il suo patrimonio a chi gli piace, sarà impossibile, con un espediente legale, impedire a persone esperte nel potere che hanno sui propri beni, e nei modi di trasferirli ad altri, di acquistare il denaro che viene loro prestato, a qualunque prezzo i loro affari renderanno necessario per essi ottenerlo. Infatti bisogna ricordare che nessuno prende in prestito denaro, o paga l'interesse, per puro piacere.

È il bisogno di denaro che conduce al fastidio e alla spesa del prendere a prestito; ed è proporzionalmente a tale bisogno che ciascuno vuole averne, quale che sia il prezzo che gli costa. Nella qual cosa un uomo abile, dico, si comporterà sempre in modo tale da aggirare la proibizione della vostra legge e tenersi al di fuori delle sue sanzioni, qualunque cosa voi possiate fare. Quali saranno allora le conseguenze inevitabili di una simile legge?

Renderà molto maggiore la difficoltà del prendere e del dare a prestito, dalla qual cosa il commercio (fondamento della ricchezza) resterà ostruito.

Rappresenterà un danno proprio per coloro che maggiormente necessitano di assistenza e di aiuto, cioè le vedove e gli orfani e tutti quegli altri, che, ignari degli artifici e dei maneggi dei piú abili, possedendo i loro averi in denaro, potranno star certi, soprattutto gli orfani, di non ricavare dal loro denaro un profitto maggiore di quell'interesse che la legge meramente concede.

Incrementerà massicciamente il vantaggio di banchieri e scrivani, e di altri simili esperti mediatori, che pratici degli artifici del dare in prestito il denaro secondo il suo vero e naturale valore, cui l'attuale stato del commercio, del denaro e dei debiti, farà sempre ammontare l'interesse, guadagneranno infallibilmente quel che sarà il vero valore dell'interesse oltre il legale; poiché, trovandosi generalmente conveniente depositare il proprio denaro laddove si può, con un breve preavviso, contare su di esso, l'ignaro e l'ozioso saranno prontissimi a deporlo nelle mani di costoro disposti a riceverlo, e dove possono prontamente riaverlo, in tutto o in parte, ad ogni improvvisa occasione che possa richiederlo.

[...]

Ma che la legge non possa impedire di pretendere un interesse maggiore di quello da voi fissato (poiché soltanto il bisogno del denaro è ciò che ne regola il prezzo), emergerà forse dal considerare quanto sia possibile fissare un prezzo sul vino o sulla seta, o su altre merci voluttuarie; ma come sia impossibile fissare un prezzo sui viveri in tempo di carestia. Infatti, poiché il denaro è una merce universale ed è necessario al commercio come il cibo alla vita, ognuno deve averlo al prezzo al quale può ottenerlo; e inevitabilmente lo paga caro quando scarseggia, e i debiti non meno del commercio hanno fatto del prendere a prestito una moda.

 

(J. Locke, Considerazioni sulle conseguenze della riduzione dell'interesse, Cappelli, Bologna, 1978, pagg. 55-58)