Secondo Locke è lecito per una
Chiesa scomunicare, cioè cacciare dalla comunità, ma la scomunica non può
comportare offese di alcun tipo, né avere conseguenze civili sulla persona
scomunicata e sui suoi beni.
J. Locke, Lettera sulla
tolleranza
Ciò posto, cerchiamo in seguito
quali sono i doveri di ciascuno in relazione alla tolleranza. In primo luogo
affermo che nessuna Chiesa è tenuta in nome della tolleranza a mantenere nel
proprio seno chi, nonostante che sia stato ammonito, si ostina a peccare contro
le leggi stabilite in quella società, perché, se a qualcuno fosse concesso di
violare impunemente quelle leggi, la società stessa ne andrebbe di mezzo, dal
momento che esse sono le condizioni della comunione e l’unico vincolo di quella
società. Tuttavia bisogna badare che al decreto di scomunica non si
accompagnino o offese verbali o violenze di fatto con le quali vengano lesi o
il corpo di chi viene cacciato o, in qualche modo, i suoi beni. La scomunica
non toglie né può togliere nessuno dei beni civili o dei beni che privatamente
possedeva lo scomunicato: tutti quei beni appartengono al suo stato civile e
sono sottoposti alla tutela del magistrato. In secondo luogo, nessun privato
deve o occupare o diminuire in nessun modo i beni civili di un altro, perché
costui si proclama estraneo alla sua religione e ai suoi riti.
Ciò che ho detto della tolleranza
tra privati discordi reciprocamente in fatto di religione, intendo che valga
anche nei rapporti tra Chiese particolari, che hanno tra loro relazioni in
qualche modo simili a quelli che intercorrono tra persone private: perciò
nessuna Chiesa ha un qualche diritto su un’altra, neppure nel caso in cui il
magistrato civile appartenga a questa o a quella Chiesa.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol.
XIII, pag. 606