Locke propone la condanna senza
riserve dei cattolici, ritenendoli incapaci di separare la loro dimensione
religiosa dalla loro condizione di cittadini.
J. Locke, Saggio sulla
tolleranza
Dato che gli uomini acquisiscono
abitualmente la loro religione all’ingrosso, e fanno proprie le opinioni del
loro partito in un sol mucchio, avviene spesso che essi mescolino col loro
culto religioso e con le opinioni speculative altre dottrine assolutamente
distruttive per la società in cui vivono, come è evidente nel caso dei
cattolici romani che siano sudditi di un sovrano diverso dal papa. E perciò
costoro, in quanto mescolano con la loro religione opinioni siffatte, le
rispettano come verità fondamentali e si sottomettono ad esse come ad articoli
della loro fede, non devono essere tollerati dal magistrato nell’esercizio
della loro religione, a meno che egli possa avere la garanzia di poter
ammettere una parte senza che si diffonda l’altra, e che quelle opinioni non
saranno assorbite e assunte da tutti coloro che sono in comunione con loro nel
culto religioso; cosa che, suppongo, è ben difficile che avvenga.
[...]
Quanto ai papisti, è sicuro che
di parecchie delle loro pericolose opinioni, che sono assolutamente distruttive
per ogni governo eccettuato quello del papa, non deve essere tollerata la
diffusione; e che il magistrato è tenuto a reprimere chiunque diffonda o renda
pubblica una di esse nella misura in cui ciò è sufficiente ad impedirlo. E
questa regola non si estende soltanto ai papisti, ma ad ogni altro genere di
persone che sono tra noi; perché un tale impedimento ostacolerà in una certa
misura la diffusione di quelle dottrine che avranno sempre cattive conseguenze,
e che, come con i serpenti, non si otterrà mai con un trattamento cortese che
mettano da parte il loro veleno.
I papisti non devono godere i
benefici della tolleranza, perché, dove essi hanno il potere, si ritengono in
obbligo di rifiutarla agli altri. È infatti irragionevole che abbia piena
libertà di religione chi non riconosce come proprio principio che nessuno debba
perseguitare o danneggiare un altro perché questi dissente da lui in fatto di
religione. Infatti, se è vero che la tolleranza è posta dal magistrato come
fondamento su cui stabilire la pace e la quiete del suo popolo, tollerando uno
che gode dei benefici di quest’indulgenza condannandola al tempo stesso come
illecita egli non fa altro che blandire chi professa di essere tenuto a
danneggiare il suo governo non appena sia in grado di farlo.
(J. Locke, Saggio sulla
tolleranza, in Scritti sulla tolleranza, UTET, Torino, 1977, pagg.
104, 111)