Il magistrato ha il compito di
assicurare la pace sociale: dunque “non ha nulla a che fare con il bene delle
anime” e non deve quindi intervenire sui “vizi” quando questi non
interferiscono nella vita dello stato.
J. Locke, Saggio sulla
tolleranza
Il magistrato, in quanto
magistrato, non ha nulla a che fare con il bene delle anime o con il loro
interesse in un'altra vita; al contrario, egli è ordinato e il suo potere gli è
affidato soltanto al fine della tranquillità e della sicurezza della vita degli
uomini nella società nei loro rapporti reciproci, come è già stato
sufficientemente dimostrato.
Ed è ancora piú evidente che il
magistrato non ordina che si pratichino le virtú per il fatto che esse sono
virtuose e obbligano la coscienza, oppure perché esse costituiscono il dovere
dell'uomo nei confronti di Dio e la via alla sua misericordia e benevolenza; ma
piuttosto perché le virtú costituiscono altrettanti vantaggi per l'uomo nei
suoi rapporti con altri uomini, e la maggior parte di esse sono legami e
vincoli solidi della società, i quali legami non possono essere indeboliti
senza distruggere l'intera struttura della società. Tant'è vero che, nel caso
di quelli di essi che non hanno una siffatta influenza sullo stato, e tuttavia
sono vizi, e riconosciuti per tali quanto ogni altro - come la cupidigia dei
beni altrui, la disobbedienza ai genitori, l'ingratitudine, la malevolenza, il
desiderio di vendetta e vari altri - contro questi vizi il magistrato non snuda
mai la sua spada; né è possibile affermare che questi sono trascurati perché
non possono essere riconosciuti, quando i piú segreti tra essi, il desiderio di
vendetta e la malevolenza, sono quelli che instaurano la distinzione
giudiziaria tra omicidio preterintenzionale e assassinio.
Perciò io ritengo che dal potere
che il magistrato ha sulle buone e cattive azioni seguirà:
1) che egli non è tenuto a punire
tutti i vizi, cioè può tollerarne alcuni; del resto mi piacerebbe sapere quale
governo al mondo non lo fa;
2) che egli non deve ordinare la
pratica di nessun vizio, perché una tale imposizione non può essere funzionale
al bene del popolo o alla conservazione del governo.
Questi, mi pare, sono i limiti
dell'imposizione e della libertà, e questi tre diversi generi di cose in cui è
in gioco la coscienza umana hanno diritto ad una tolleranza la cui ampiezza è
quella che io ho definito e non di piú, se essi sono considerati distintamente
e astrattamente in sé e per sé.
(J. Locke, Saggio sulla
tolleranza, in Scritti sulla tolleranza, UTET, Torino, 1977, pagg.
102-104)