Non possono pretendere alcun
diritto ad essere tollerati coloro che rivendicano “qualche privilegio o
qualche potere nelle cose civili” per sé e per i membri della loro “setta”.
J. Locke, Lettera sulla
tolleranza
Il magistrato non deve tollerare
nessuna credenza che sia nemica e contraria alla società umana o ai buoni
costumi necessari per conservare la società civile. Ma esempi di queste
credenze sono rari in qualsiasi Chiesa. Infatti nessuna Chiesa suole giungere a
un grado tale di pazzia, da giudicare che possano essere insegnate come
credenze religiose le cose che minacciano manifestamente i fondamenti della
società, e perciò sono condannate per giudizio unanime del genere umano; infatti
queste credenze metterebbero in pericolo anche i beni di coloro che le
praticano, la loro tranquillità e la loro reputazione.
Un male piú nascosto, ma anche
piú pericoloso per lo stato, è costituito da quelli che arrogano per se stessi
e per i membri della setta alla quale appartengono qualche privilegio contro il
diritto civile, sia pure nascosto con parole speciose. Forse non si trova in
nessun luogo chi francamente e apertamente insegni che non bisogna mantenere
gli impegni, che il principe può essere cacciato dal proprio trono da una
qualsiasi setta religiosa, che rivendichi soltanto a sé il dominio universale
di tutte le cose. Queste cose infatti, dette con parole aperte e sincere,
richiamerebbero subito l'attenzione del magistrato e l'occhio dello Stato, e
farebbero sí che si badasse a che questo male non continuasse piú a serpeggiare
nel seno della società. E tuttavia si trovano persone che con altre parole
dicono la medesima cosa. Perché, infatti, che cos'altro pretendono, quelli che
insegnano che non si devono mantenere gli impegni con gli eretici? Questo essi
rivendicano, che a essi sia concesso il privilegio di venir meno alla fede
data, dal momento che tutti quelli che sono estranei alla loro comunità vengono
considerati eretici, o tali possono essere dichiarati al momento opportuno. Il
principio che i re scomunicati decadano dal regno a che cosa tende, se non a
rivendicare il potere di privare i re del loro regno, dal momento che essi
rivendicano alla loro sola gerarchia il diritto di scomunica? La tesi che il
dominio è fondato sulla grazia, attribuisce poi il possesso di tutte le cose a
coloro che sostengono questa proposizione, che non sono cosí pazzi da non
credere o professare di essere essi stessi veramente pii e fedeli. Non possono
avere nessun diritto alla tolleranza da parte del magistrato coloro e tutti
quelli della stessa specie, i quali attribuiscono ai fedeli, ai religiosi, agli
ortodossi, cioè a se stessi, qualche privilegio o qualche potere nelle cose
civili, che li metta al di sopra di tutti gli altri mortali, e che, sotto il
pretesto della religione, rivendicano a se stessi un qualche potere sugli
uomini che non appartengono alla loro comunità ecclesiastica, o che in un modo
qualsiasi sono separati da essi. Ma non hanno diritto alla tolleranza neppure
quelli i quali non vogliono insegnare che anche gli altri, dissenzienti da se
stessi in fatto di religione, devono essere tollerati. Perché che cos'altro
insegnano costoro e tutti quelli di questa specie se non questo, che essi, non
appena sarà offerta una occasione opportuna, usurperanno i diritti dello Stato
e la libertà e i beni dei cittadini? Soltanto questo essi chiedono al
magistrato, che a essi siano concesse tolleranza e libertà fino a quando
avranno abbastanza mezzi e abbastanza forze per osare quell'usurpazione.
Non può pretendere il diritto di
tolleranza da parte del magistrato la Chiesa che sia tale che, chiunque entri
in essa, per questo stesso fatto, passa sotto la dipendenza e l'obbedienza di
un altro principe. A questo modo infatti il magistrato darebbe modo a una
giurisdizione estranea di entrare entro i confini di sua competenza e dentro le
sue città, e permetterebbe che dai suoi cittadini fossero reclutati soldati da
impiegare contro il suo Stato. [...]
Da ultimo non devono in nessun
modo essere tollerati coloro che negano che esista una divinità. Infatti una
promessa, un patto, un giuramento di un ateo non possono essere qualcosa di
stabile e di santo; eppure queste cose sono i vincoli che tengono insieme la
società umana, tanto che, eliminato Dio, sia pure soltanto con il pensiero,
tutte queste cose vengono meno. Inoltre nessuno può rivendicare per se stesso
il privilegio della tolleranza sotto il nome della religione, se poi attraverso
l'ateismo elimina completamente qualsiasi religione. Per quel che riguarda
tutte le altre opinioni pratiche, anche se non sono prive di ogni errore, se
per mezzo di esse non si chiede nessun dominio e nessuna franchigia civile per
la Chiesa nella quale sono insegnate, non si può dare nessun fondamento per cui
non debbano essere tollerate.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 609-610)