Se molti filosofi avevano tenuto conto dei
limiti della mente umana, c'era anche chi - come Descartes - aveva parlato di
una ragione umana che
manda una luce cosí forte da illuminare l'intero Universo, del quale può dunque
porsi al centro, come il Sole nel nuovo sistema copernicano. Locke invece
ridimensiona drasticamente la “capienza” della ragione umana, che non è in
grado di “contenere” tutto l'Universo, ma è sufficiente a soddisfare le
necessità dell'uomo.
J. Locke, Saggio sull'intelletto umano,
Introduzione, par. 5
Per grande che sia l'intervallo che separa la
conoscenza degli uomini da una comprensione universale o perfetta di tutto ciò
che esiste, tuttavia la loro conoscenza assicura i loro interessi principali,
cioè permette loro di avere luce sufficiente per condurli alla conoscenza del
loro autore e di vedere quali sono i loro doveri.
Gli uomini possono trovare materia
sufficiente per tenere occupata la loro testa e impiegare le mani con varietà,
piacere e soddisfazione, se rinunciano alle sfacciate lamentele sul modo in cui
sono fatti, e se non buttano via le benedizioni di cui le loro mani sono colme,
perché non sono grandi abbastanza per afferrare ogni cosa. Non avremo molta
ragione di lamentarci della ristrettezza del nostro spirito, purché ci
accontentiamo di impiegarlo intorno a ciò che può avere qualche utilità per
noi: perché in queste cose esso è molto capace. E sarebbe un puntiglio
imperdonabile e infantile sottovalutare i vantaggi della nostra conoscenza, e
trascurare di migliorarla in vista dei fini per i quali ci è stata data, perché
ci sono cose che sono poste fuori del raggio di essa.
Se un domestico pigro e capriccioso, che non
ha compiuto il lavoro che doveva fare al lume di candela, si lamenta che non
aveva a disposizione la luce aperta del Sole, questo non sarà ammesso come una
scusa per la sua trascuratezza.
La candela che è accesa in noi fa luce
abbastanza per tutti i nostri propositi. Dobbiamo essere soddisfatti delle
scoperte che possiamo fare alla sua luce; e faremo un uso corretto della nostra
intelligenza, quando entreremo in rapporto con tutti gli oggetti nel modo e
nella proporzione adatta alle nostre facoltà, e sulla base dei fondamenti che
possono essere proposti a noi, e se non richiederemo perentoriamente o con
intemperanza la dimostrazione e chiederemo la certezza dove la probabilità
soltanto può essere ottenuta, una probabilità che sarà sufficiente a dirigere
tutti i nostri interessi.
Se rifiuteremo la credenza in ogni cosa,
perché non possiamo conoscere con certezza tutte le cose, saremo tanto saggi
come chi non usasse le gambe, ma restasse fermo e morisse, perché non ha ali
per volare.
Quando avremo conosciuto la nostra forza,
sapremo meglio che cosa intraprendere con speranza di successo. E quando avremo
passato accuratamente in rassegna i poteri del nostro spirito e fatto
una qualche stima di che cosa ci possiamo aspettare da essi, non avremo piú la
tendenza o a restar fermi e a non far lavorare affatto il nostro pensiero,
disperati di non poter trovare nulla, né, d'altro lato, metteremo in questione
ogni cosa, e rifiuteremo ogni conoscenza, perché alcune cose non possono essere
intese.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 630-631)