Locke, La prova dell’esistenza di Dio

Secondo Locke non si può concepire la realtà come prodotta dal nulla; non si può pensare al tempo senza l’eternità. Neppure è concepibile che ciò che non pensa, cioè la materia, produca da sé il pensiero.

 

J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, III, cap. X

 

Dio non ci ha dato idee innate di sé, non ha stampato caratteri originali nel nostro spirito, nei quali possiamo leggere la sua esistenza; tuttavia, avendoci forniti delle facoltà di cui il nostro spirito è dotato, non ci ha lasciato senza una testimonianza di se stesso: dal momento che abbiamo senso, percezione e ragione, non possiamo mancare di una chiara prova della sua esistenza, fino a quando portiamo noi stessi con noi. Non c’è verità piú evidente che questa, che qualcosa deve esistere dall’eternità. Non ho mai sentito parlare di nessuno cosí irragionevole o che potesse supporre una contraddizione cosí manifesta come un tempo nel quale non ci fosse assolutamente nulla. Perché questa è la piú grande di tutte le assurdità, immaginare che il puro nulla, la perfetta negazione e assenza di tutte le cose producano mai qualche esistenza reale. Se, allora, ci deve essere qualcosa di eterno, vediamo quale specie di essere deve essere. E a questo riguardo è assolutamente ovvio ragionare che debba necessariamente essere un essere pensante. Infatti pensare che una semplice materia non pensante produca un essere pensante intelligente è altrettanto impossibile quanto pensare che il nulla produca da se stesso materia.

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pag. 655