Locke, La società politica e il contratto sociale

Una società politica nasce quando ciascuno dei suoi membri ha rinunciato al potere naturale di giudicare, rassegnandolo volontariamente nelle mani della comunità; essa nasce dunque per convenzione da un “contratto sociale”, che rende coloro che lo hanno sottoscritto un “unico corpo politico”.

Ma la forma dello stato che deve uscire dal contratto originario costitutivo della società politica è - nel progetto di Locke - profondamente diversa da quella ipotizzata dalle teorie assolutistiche di Hobbes: all'arbitrio assolutista Locke contrappone una sostanziale democrazia rappresentativa.

 

J. Locke, Secondo trattato sul governo, parr. 87, 88, 95, 123-126, 131

 

Ma, poiché non ci può essere né può sussistere nessuna società politica, che non abbia essa stessa il potere di conservare la proprietà e, a questo fine, di punire le offese di tutti quelli che costituiscono i membri di quella società, la società politica c'è se e soltanto se ciascuno dei suoi membri ha abbandonato questo potere naturale, lo ha rassegnato nelle mani della comunità in tutti i casi che non gli precludono di appellarsi, per ottenere protezione, alla legge stabilita dalla comunità. E cosí, essendo escluso ogni giudizio di ciascun membro particolare, la comunità diventa arbitra, in base a regole stabilite, stabili, indifferenti e uguali per tutte le parti. Per opera di uomini, che hanno autorità dalla comunità, per l'esecuzione di quelle regole, essa decide tutte le controversie che possono sorgere tra membri di quella società, riguardanti una qualsiasi materia di diritto, punisce le offese che un membro qualsiasi ha commesso contro la società, con le pene che la legge ha stabilito. [...]

E cosí la società politica ottiene il potere di stabilire quale punizione corrisponde alle diverse trasgressioni commesse dai membri della società ritenuti meritevoli di punizione; e questo è il potere di fare le leggi. Ma essa ottiene anche il potere di punire qualsiasi torto fatto a uno dei suoi membri da uno che non appartenga alla società; e questo è il potere di guerra e di pace. E tutto ciò ha come fine la preservazione della proprietà di tutti i membri di quella società, nella misura maggiore possibile. Ma, sebbene ogni uomo che è entrato a far parte della società civile, ed è diventato membro di una comunità, abbia con ciò abbandonato il potere di punire le offese contro la legge di natura, traducendo in pratica il suo giudizio privato, tuttavia, insieme con il giudizio delle offese che egli ha rassegnato nelle mani del potere legislativo in tutti i casi in cui può appellarsi al magistrato, ha dato anche il diritto alla comunità di impiegare la sua forza per l'esecuzione dei giudizi della comunità, in tutti i casi in cui egli sarà chiamato a dare il contributo della propria forza; e in realtà si tratta dei suoi propri giudizi, perché essi sono dati da lui stesso o dai suoi rappresentanti.

[...]

Come è stato detto, tutti gli uomini sono per natura liberi, uguali e indipendenti, e nessuno può essere tolto da questo stato e sottomesso al potere politico di un altro senza il proprio consenso. L'unico modo in cui uno si priva della propria libertà naturale e accetta i vincoli della società civile è l'accordo con gli altri uomini di congiungersi e unirsi in una comunità per convivere gli uni con gli altri in maniera comoda, sicura e pacifica, nel godimento sicuro delle loro proprietà e con una maggiore sicurezza contro chiunque non faccia parte di quella comunità. Questo può essere fatto da un numero qualsiasi di uomini, perché non reca danno alla libertà degli altri, che sono lasciati come se fossero nello stato di libertà proprio dello stato di natura. Quando un numero qualsiasi di uomini hanno a questo modo consentito di fare una comunità o un governo, essi sono immediatamente incorporati, e costituiscono un unico corpo politico; nel quale la maggioranza ha il diritto di agire e di concludere per il resto.

Se l'uomo nello stato di natura è cosí libero, come è stato detto, se egli è l'assoluto signore della sua persona e delle sue proprietà, se è uguale al piú grande degli uomini e soggetto a nessuno, perché egli vorrà privarsi della propria libertà? Perché vorrà liberarsi di questa sovranità e assoggettarsi al dominio e al controllo di un altro potere? La risposta è ovvia: sebbene nello stato di natura abbia un diritto di questo genere, tuttavia il godimento di esso è molto incerto e costantemente esposto all'usurpazione degli altri. Infatti tutti sono re come lo è lui, tutti sono uguali a lui, e la maggior parte non osserva strettamente l'equità e la giustizia, sicché il godimento della proprietà che egli ha in questo stato è molto insicura e molto incerta. Questo fa sí che egli voglia abbandonare una condizione che, per quanto libera, è piena di paure e di continui pericoli. Perciò non senza ragione cerca e desidera di unirsi in società con altri che sono già uniti o hanno intenzione di unirsi per la mutua conservazione delle loro vite, libertà e beni, che io chiamo, con un nome generale, “proprietà”.

Perciò il fine grande e principale per cui gli uomini si riuniscono in comunità politiche e si sottopongono a un governo è la conservazione della loro proprietà. A questo fine infatti nello stato di natura mancano molte cose. In primo luogo manca una legge stabilita, fissa e conosciuta. In secondo luogo, nello stato di natura manca un giudice noto e imparziale, con l'autorità di decidere tutte le controversie in base ad una legge stabilita. In terzo luogo, nello stato di natura manca spesso un potere che sostenga e sorregga la sentenza, quando essa è giusta, e ne dia la dovuta esecuzione.

Ma, sebbene gli uomini, quando entrano a far parte della società, rinuncino all'eguaglianza, libertà e potere esecutivo che avevano nello stato di natura, per riporre queste cose nelle mani della società, affinché il potere legislativo ne disponga nella misura richiesta dal bene della società, tuttavia, poiché ciascuno fa ciò soltanto con l'intenzione di meglio conservare per se stesso la libertà e la proprietà (dal momento che non si può supporre che nessuna creatura razionale cambi la propria condizione con l'intenzione di peggiorarla), non si può mai supporre che il potere della società, ossia il potere legislativo costituito dai membri della società, si estenda al di là del bene comune; anzi esso è obbligato ad assicurare a ciascuno la sua proprietà, prendendo provvedimenti contro quei tre difetti sopra menzionati, che fanno lo stato di natura cosí insicuro e disagevole. Perciò chiunque abbia il potere legislativo, ossia il potere supremo, di una comunità politica, è tenuto a governare con leggi stabilite e fisse, promulgate e rese note al popolo, e non con decreti estemporanei; deve servirsi di giudici imparziali e giusti, che devono decidere le controversie in base a quelle leggi; deve impiegare la forza della comunità all'interno soltanto per eseguire quelle leggi, o all'esterno per prevenire o riparare torti provocati da stranieri, e assicurare la comunità da incursioni e invasioni. E tutto ciò deve essere diretto a nessun altro fine, se non alla pace, alla sicurezza e al bene pubblico del popolo.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 619-621)