Locke, Lo stato di natura e la legge di natura

Nel 1690, all'indomani della felice conclusione della Glorious Revolution, e della definitiva affermazione dei diritti del Parlamento nei confronti della corona, Locke pubblicò anonimi i Due trattati sul governo, scritti in polemica contro quanti sostenevano la tesi del diritto divino come fondamento del potere. Le teorie politiche di Locke - che sono anche quelle del partito Whig al quale egli aderisce - sono fondate sul naturalismo, sulla tradizione inglese della Magna Charta e sull'origine contrattualistica e consensuale del potere.

“Naturalismo” significa recupero dello stato di natura, nel quale - in mancanza di un diritto positivo - vige una straordinaria libertà, limitata soltanto dalle leggi di natura, cioè dalle norme razionali che l'uomo, naturalmente, impone e a se stesso.

 

J. Locke, Secondo trattato sul governo, parr. 4, 6, 7

 

Per comprendere rettamente il potere politico, e derivarlo dalla sua origine, dobbiamo considerare quale sia lo stato in cui gli uomini si trovano per natura. È uno stato di libertà perfetta di ordinare le proprie azioni, di disporre delle proprietà e delle persone come meglio si ritiene, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere il permesso a nessuno e senza dipendere dalla volontà di nessuno.

Si tratta anche di uno stato di eguaglianza, nel quale ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, perché nessuno ha piú potere o piú giurisdizione di un altro. Perché non c'è nulla di piú evidente di questo, che creature della stessa specie e della stessa razza, nate indistintamente per godere, nello stesso grado, di tutti i vantaggi della natura, e per usare le medesime facoltà, dovrebbero anche essere reciprocamente uguali, senza subordinazione o soggezione, a meno che il signore e padrone di tutte quelle creature, con una manifesta dichiarazione della sua volontà, abbia posto uno sopra un altro, e gli abbia conferito, con designazione evidente e chiara, un indubitabile diritto al dominio e alla sovranità. [...]

Lo stato di natura ha una legge di natura che lo governa, e che obbliga ciascun uomo. E la ragione, che è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che sono tutti uguali e indipendenti, e perciò nessuno deve recare danno ad un altro nella vita, salute, libertà o proprietà. Tutti gli uomini sono opera di un unico autore onnipotente e infinitamente saggio, tutti sono servitori di un unico padrone sovrano, inviati nel mondo per suo ordine e ai suoi fini; sono sua proprietà dal momento che sono opera sua, fatti per durare fino a quando piaccia a lui e non a un altro. E, poiché siamo forniti di facoltà simili, poiché partecipiamo tutti all'unica comunità di natura, non si può supporre che ci sia tra noi una tale subordinazione, che possa autorizzarci a distruggerci a vicenda, come se fossimo fatti gli uni per l'uso degli altri, nel modo in cui le creature di ordine inferiore sono fatte per noi. Ciascuno di noi, come è tenuto a conservare se stesso, e non abbandonare volontariamente il suo posto, cosí, per la stessa ragione, quando la sua conservazione non viene messa in questione, deve, nella misura del possibile, preservare il resto dell'umanità, e, a meno che egli non debba far giustizia di chi ha commesso un'offesa, non può eliminare o minacciare la vita a ciò che conduce alla conservazione della vita, della libertà, della salute, delle membra del corpo o dei beni di un altro.

E perché tutti gli uomini possano essere trattenuti dall'invadere i diritti degli altri e dal recarsi danno l'un l'altro, e perché sia osservata la legge di natura, che vuol mantenere la pace e la conservazione di tutta l'umanità, l'esecuzione della legge di natura è, in questo stato, posta nelle mani di ciascun uomo, per cui ognuno ha diritto di punire i trasgressori di quella legge in un grado tale che possa impedire la sua violazione. E infatti la legge di natura, come tutte le altre leggi che riguardano gli uomini in questo mondo, sarebbe inutile, se non ci fosse nessuno che nello stato di natura avesse il potere di eseguirla, e perciò di salvaguardare l'innocente e di reprimere gli offensori.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 611-612)