Se la religione non può avvalersi
dell’uso della forza, lo Stato, che è il detentore della forza per definizione,
non può usarla in campo religioso.
J. Locke, Lettera sulla
tolleranza
Lo Stato mi sembra la società
degli uomini costituita soltanto per conservare e accrescere i loro beni
civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l’integrità del corpo e la sua
immunità dal dolore, e il possesso delle cose esterne, come la terra, il
denaro, le suppellettili ecc. È compito del magistrato civile mantenere intatto
per tutto il popolo nel suo complesso e per i singoli privati il giusto
possesso di queste cose che riguardano questa vita, attraverso le leggi
equamente imposte a tutti. Se qualcuno volesse violarle contro ciò che è giusto
e lecito, la sua audacia dovrebbe essere repressa con il timore della pena. La
pena consiste nella sottrazione o nella diminuzione dei beni che altrimenti
avrebbe potuto e dovuto godere. Ma poiché nessuno si priva spontaneamente di
una parte dei propri beni, tanto meno della libertà o della vita, il magistrato
è armato della forza, cioè di tutta la forza dei suoi sudditi, per infliggere
una pena a quelli che violano il diritto di un altro... In primo luogo, la cura
delle anime non è affidata al magistrato civile piú che agli uomini. Non da
Dio, perché non risulta in nessun modo che Dio abbia attribuito un’autorità di
questo genere a uomini nei confronti di altri uomini, tale cioè che essi
possano costringere altri ad accogliere la sua religione... In secondo luogo,
la cura delle anime non può essere di pertinenza del magistrato civile, perché
tutto il suo potere consiste nella coazione. In terzo luogo, la cura della
salvezza dell’anima non può appartenere in nessun modo al magistrato civile,
perché, anche ammesso che l’autorità delle leggi e la forza delle pene sia
efficace per convertire lo spirito degli uomini, ciò tuttavia non sarebbe di
nessuna utilità alla salvezza delle anime.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol.
XIII, pag. 604