Sembra che le teorie linguistiche
di John Locke e di Thomas Hobbes riprendano la tradizione del nominalismo medievale
(ricordiamo che i testi di Guglielmo di Ockham venivano ancora letti nelle
università ai tempi di Locke): il linguaggio è il frutto di una convenzione fra
gli uomini. In realtà secondo Locke attraverso l'imposizione arbitraria dei
nomi si creano legami non soltanto fra le parole e le idee formatesi con le
sensazioni, ma anche fra le parole e le cose che hanno prodotto le sensazioni;
pertanto la scienza costruita attraverso operazioni sui nomi può esprimere
anche relazioni reali fra le cose.
J. Locke, Saggio
sull'intelletto umano, IV, cap. V, 2, 8-9
Mi sembra che la verità, in
quello che il nome propriamente vuol dire, non significhi nient'altro se non unire
o separare segni secondo che le cose significate da quei segni sono in accordo
o disaccordo l'una con l'altra.
L'unire o separare segni, qui
menzionato, è ciò che con un altro nome si chiama proposizione. Perciò la
verità appartiene propriamente soltanto a proposizioni, e di essa ci sono due
specie, cioè quella mentale e quella verbale, come ci sono due specie di segni
comunemente usati, cioè le idee e le parole.
Quando le idee sono poste insieme
o separate nello spirito secondo che esse o le cose, in luogo delle quali
stanno, siano in accordo o in disaccordo, si ha quella che potrei chiamare la verità
mentale; ma la verità delle parole è qualcosa di piú, e consiste
nell'affermare o negare le parole l'una dell'altra, secondo che le idee, in
luogo delle quali quelle parole stanno, siano in accordo o disaccordo.
La verità delle parole, a sua
volta, è di due tipi: o puramente verbale e irrilevante [...] o reale e
istruttiva, e questo è l'oggetto della conoscenza reale della quale abbiamo già
parlato. La verità come la conoscenza può cadere sotto la distinzione tra ciò
che è verbale e ciò che è reale. La verità è soltanto verbale quando i termini
sono uniti secondo l'accordo o disaccordo delle idee in luogo delle quali esse
stanno, senza considerare se le nostre idee abbiano realmente un'esistenza in
natura o siano in grado di averla. Ma questi segni contengono una verità
reale quando sono uniti nel modo in cui le nostre idee concordano, e quando
le nostre idee sono tali che noi sappiamo che esse sono capaci di avere
un'esistenza in natura. Nel caso delle sostanze non possiamo saperlo se non
sapendo che ne sono esistite di simili.
La verità consiste nel tradurre
in segni mediante parole l'accordo o il disaccordo tra le idee, come esso è; la
falsità consiste nel tradurre in segni con parole l'accordo o disaccordo tra le
idee in modo diverso da quello in cui esso è. E nella misura in cui le idee,
cosí contrassegnate con suoni, concordano con i loro archetipi, soltanto in questa
misura la verità è reale. La conoscenza di questa verità consiste nella
conoscenza di quali idee le parole indicano, e nella percezione dell'accordo o
disaccordo di quelle idee, secondo il modo in cui esso è tradotto in segni per
mezzo di quelle parole.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 652-653)