Il
lume della ragione, che è patrimonio di ogni uomo, rifugge l'idea che
nell'umanità possano esserci individui, o popoli, dediti - per loro natura - al
disprezzo dell'umanità stessa: che uccidano, castrino o mangino membri della
loro stessa specie, per puro piacere. L'eccesso di realismo di Hobbes (homo
homini lupus) sembra aver contagiato anche Locke e lo stesso raffinato
cultore del diritto Montesquieu. Voltaire si ribella alla “credulità” dimostrata
da questi saggi quando prestano fede a racconti inverosimili di viaggiatori
inattendibili, quasi volessero accreditare - in contrapposizione al nascente
mito del “buon selvaggio” - una realtà del “cattivo selvaggio”, cioè la
malvagità della natura umana.
Voltaire,
nella sua polemica con Locke e con Montesquieu, dimostra inoltre una grande
sensibilità di storico: le fonti devono essere molteplici e di natura diversa
per consentire che i risultati di una ricerca siano, se non certi, almeno
accettabili.
L'immagine
di “mangiatori di bambini” per sottolineare la diversità, ma soprattutto per
screditare i “nemici”, ha una certa fortuna nell'Europa del Settecento,
dell'Ottocento (in Francia ai tempi dell'affaire Dreyfus si diceva che
gli Ebrei si nutrissero di bambini) e del Novecento (quando mangiatori di
bambini sono diventati i comunisti).
a) Allevamenti di bambini
J. Locke, Saggio
sull'intelletto umano, I, II, 9
Vi sono luoghi dove la gente
mangia i propri bambini. Gli abitanti dei Caraibi erano soliti castrare i
bambini appositamente per ingrassarli e mangiarli. Garcilasso de la Vegas ci
racconta di un popolo nel Perú il quale ingrassava e mangiava i bambini che
avevano dalle loro prigioniere, le quali venivano conservate come concubine per
quello scopo e quando avevano passato l'età della procreazione venivano
anch'esse uccise e mangiate.
(J. Locke, Saggio
sull'intelletto umano, UTET, Torino, 1971, pag. 94)
b) Locke e Montesquieu, filosofi creduloni
Voltaire, Il filosofo
ignorante, XXXV
Locke, per meglio dimostrare che
non esiste regola pratica innata, discorre dei Mingreliani, che, per gioco,
seppelliscono vivi i loro figli, e degli abitanti dei Caraibi, che castrano i
loro per meglio ingrassarli al fine di mangiarli. Si è già notato altrove che
quel grand'uomo è stato troppo credulo in relazione a tali favole: Lambert, il
solo che attribuisca ai Mingreliani la pratica di seppellire vivi i loro figli
per il semplice piacere, non è un autore sufficientemente accreditato. Chardin,
viaggiatore attendibile, e che è stato tenuto in ostaggio in Mingrelia,
parlerebbe di questa orribile pratica, se essa esistesse; non sarebbe
sufficiente che lo dicesse per essere creduto: affinché si possa avere una
certezza storica di un fatto cosí straordinario, bisognerebbe che venti
viaggiatori, di nazionalità e religioni diverse, fossero d'accordo nel
confermarlo. La stessa cosa si dice delle donne delle Antille, che
castrerebbero i loro figli per mangiarli: una usanza che non concilia con la
natura di una madre. Il cuore umano non è fatto cosí; castrare dei fanciulli è
una operazione molto delicata e molto pericolosa, che, lungi dall'ingrassarli,
li farebbe dimagrire almeno per un anno intero e che spesso li porta alla
morte.
Questa raffinatezza non è mai
stata in uso se non presso i grandi, i quali, traviati dall'eccesso del lusso e
della gelosia, hanno pensato di utilizzare gli eunuchi affinché servissero le
loro donne e le loro concubine. Essa è stata accolta in Italia, e nella
cappella del papa, solo per avere dei cantanti la cui voce fosse piú bella di
quella delle femmine. Ma non bisogna affatto pensare che nelle Antille dei
selvaggi abbiano inventato la raffinatezza di castrare i bambini per farne un
buon piatto; e poi, che cosa avrebbero fatto delle loro bambine? Locke cita
anche dei santi della religione maomettana, i quali si accoppierebbero con
animo devoto con le loro asine per sfuggire alla tentazione di commettere la
minima fornicazione con le donne del paese.
Bisogna collocare questi
racconti sullo stesso piano di quello del pappagallo che ebbe una cosí bella
conversazione in lingua brasiliana con il principe Maurizio, conversazione che
Locke ha l'ingenuità di riportare senza dubitare che l'interprete del principe
avesse potuto beffarsi di lui.
Parimenti, l'autore dello Spirito
delle leggi [Montesquieu] si diverte a citare, dando credito ad alcuni
viaggiatori, bugiardi o male informati, presunte leggi del Tonchino, di Bantam,
di Borneo e di Formosa.
Locke e lui sono due grandi
uomini nei quali questa ingenuità non mi sembra scusabile.
(Voltaire, Il filosofo
ignorante, a cura di L. Orlandini, Pagus, Paese [TV], 1993, pagg. 112-114)
c) Il matrimonio degli eunuchi
Montesquieu, Lo spirito delle
leggi, XV, xix
Tuttavia vi sono paesi in cui si
affidano loro [agli eunuchi] tutte le magistrature. “Nel Tonchino” scrive
Dampierre “tutti i mandarini civili e militari sono eunuchi”. Non hanno
famiglia; e quantunque siano avari per natura, il padrone - o il principe -
finisce con l'avvantaggiarsi della loro stessa avarizia. Lo stesso Dampierre ci
dice che in questi paesi gli eunuchi non possono fare a meno delle donne, e si
ammogliano. La legge che permette loro il matrimonio, può essere fondata
soltanto da una parte sulla considerazione che si ha colà per questa gente, dall'altra
sul disprezzo che vi si ha per le donne. Cosí si affidano a quelle persone le
magistrature perché non hanno famiglia; e d'altro lato, si permette loro di
sposarsi perché hanno le magistrature. È in casi simili che i sensi rimasti
vogliono ostinatamente supplire a quelli che si sono perduti; e che le imprese
nate dalla disperazione offrono un piacere particolare. Cosí lo spirito a cui
non restano che desideri, compreso della sua degradazione, vuole far uso della
sua impotenza stessa.
Nella storia della Cina si
trovano un gran numero di leggi per togliere agli eunuchi tutte le cariche
civili e militari: ma vi ritornano sempre. Sembra che gli eunuchi in Oriente
siano un male necessario.
(Montesquieu, Lo spirito delle
leggi, Rizzoli, Milano, 1989, vol. I, pagg. 417-418)