Losurdo, Senza mondo Dio non è Dio

Domenico Losurdo, ordinario di filosofia della storia all'Università di Urbino, analizza le caratteristiche della metafisica hegeliana e la definisce come “logica-metafisica”: la ragione non cerca fuori di sé, ma in sé, i fondamenti dell'essere e del conoscere. In questa nuova prospettiva il principio primo della metafisica tradizionale, cioè Dio, assume caratteristiche del tutto originali: viene identificato con la Ragione e quindi può essere interamente compreso dalla filosofia, che della Ragione è l'autocoscienza. La comprensione di Dio coincide con la comprensione del suo necessario svolgersi nel mondo. Questa visione razionale di Dio non subordina piú la religione alla fede (come aveva fatto anche Kant ponendo Dio come “inconoscibile”) e può leggere la storia sacra e i contenuti stessi della religione in una luce completamente nuova, come una rappresentazione, un “mito” (narrazione), della realtà razionale: si consideri ad esempio l'“incarnazione”, che costituisce un momento essenziale sia della religione sia della filosofia e che indica l'immanenza della “negatività” in Dio, cioè il bisogno della Ragione di uscire fuori di sé e di negarsi per giungere alla propria piena realizzazione. La filosofia hegeliana, che spoglia la religione della dimensione storico-profetica e supera la contrapposizione fra spirito e materia, fra mondano e oltremondano, può sembrare un ritorno ad Aristotele: in realtà - osserva Losurdo - l'incontro di Hegel con la tradizione religiosa ebraico-cristiana non è stato vano, perché da esso è passata nel sistema filosofico hegeliano una concezione della realtà come eterna tensione creatrice del tutto assente nel pensiero greco.

 

D. Losurdo, Metafisica, antimetafisica e storia, 6

 

Per Hegel Dio è “la totalità” cosmica e storica, ed è una totalità non indifferenziata bensí internamente articolata. Nonostante l'omaggio reso alla tradizione ebraico-cristiana, questa viene ora radicalmente epurata della sua dimensione storico-profetica. Non c'é piú spazio per eventi divini, esterni rispetto alla natura e alla storia, rispetto alla totalità. Il peccato originale non ga una dimensione propriamente storica: è “l'eterna storia dello spirito”, “l'eterno mito dell'uomo”; non si tratta di una “storia accidentale”, come apparirebbe dalla “nota rappresentazione biblica”, bensí della “storia eterna, necessaria dell'uomo”, qui espressa “in forma esteriore, mitica” e “priva di incongruenze”. L'elemento mitico qui denunciato consiste nella formulazione in termini di evento di quella che è una dimensione “eterna” e “necessaria” dello spirito e della storia umana. In modo analogo procede Hegel con gli altri eventi centrali della storia sacra. Ciò vale per la creazione: “senza mondo, Dio non è Dio”; “l'incarnazione” è “momento essenziale della religione” in quanto tale e, in realtà, della stessa speculazione; la crocifissione e la morte di Gesú rivelano l'immanenza della “negatività” in Dio e, ancora una volta, nella stessa speculazione. Gli eventi sacri si trasformano in strutture della totalità e della realtà e in strutture altresí del pensiero speculativo capace di rispecchiarle. In questo senso Dio è còlto da una metafisica speculativa che si identifica con una logica intesa “come sistema della ragione pura come regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, come essa è in sé e per sé senza velo”. A volere usare il linguaggio della rappresentazione e, in qualche modo, del mito, “ci si può quindi esprimere cosí, che questo contenuto è la esposizione di Dio, come egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito”.

La logica-metafisica ha soppiantato il discorso storico-profetico. L'“esposizione di Dio” non è la narrazione o la custodia di eventi sacri, ma è la descrizione di una realtà, di una totalità che solo ora può essere pienamente pensata e abbracciata in quanto libera ormai dalle dicotomie e lacerazioni che ancora la contrassegnano nell'ambito del criticismo kantiano. La logica-metafisica fornisce la grammatica e la sintassi del reale, e di un reale che non presenta piú zone d'ombra impenetrabili e inaccessibili alla ragione. D'altro canto questa presenza di Dio alla ragione e alla logica metafisica rende superfluo quello spazio della fede garantito dal criticismo di Kant, il quale non a caso viene accusato dal giovane Hegel di avere reso di nuovo la religione “ancella della fede”.

A prima vista sembrerebbe che Atene abbia conquistato la vittoria totale su Gerusalemme. Epperò com'è diversa questa logica-metafisica dalla metafisica tradizionale! L'essere in quanto essere da cui quest'ultima ama prendere le mosse è identico al nulla: cosí si apre la Logica hegeliana, nell'ambito della quale la prima categoria concreta è l'unità di essere e nulla, il divenire: “Ex nihilo nihil fit [dal nulla non nasce nulla] - è una delle proposizioni a cui in metafisica venne attribuita una grande importanza. Ma in questa proposizione non v'è da vedere altro della vana tautologia che nulla è nulla [...] In nessun luogo, né in cielo né in terra vi è qualcosa che non contenga in sé tanto l'essere quanto il nulla”. Né in cielo né in terra: coma la filosofia prima aristotelica, la logica-metafisica hegeliana non ha nulla a che fare con la contrapposizione mondano/oltremondano. Oggetto dell'indagine è la realtà nel suo divenire, un divenire che si sviluppa attraverso contraddizioni oggettive, salti qualitativi, ecc. In questo senso, Hegel può ben richiamarsi, e anche a ragione, ad Aristotele. Resta però il fatto, fondamentale, che la logica-metafisica del filosofo tedesco non è passata invano attraverso l'incontro con la tradizione ebraico-cristiana. Non piú connessa a una storia sacra e a una catena di eventi divini, la tensione verso il nuovo non è tuttavia dileguata, anzi, essa viene ad essere collocata nel cuore stesso del reale, delle contraddizioni, del suo sviluppo.

 

(AA.VV., Metafisica. Il mondo nascosto, Laterza, Bari, 1997, pagg. 149-153)