L’amore – al
pari delle altre passioni – rende l’uomo schiavo di qualcosa che gli è esterno
(la persona amata), rappresenta un ingiusificato dispendio di energie e
allontana dalla felicità, unico obiettivo che deve porsi l’uomo saggio.
De rerum natura, IV, 1121-1140
1 Adde quod absumunt viris pereuntque
labore,
2 adde quod alterius sub nutu degitur
aetas.
3 Labitur interea res et Babylonica fiunt,
4 languent
officia atque aegrotat fama vacillans.
5 †unguenta†
et pulchra in pedibus Sicyonia rident
6 scilicet et grandes viridi cum luce
zmaragdi
7 auro
includuntur teriturque thalassina vestis
8 assidue et Veneris sudorem exercita
potat.
9 Et
bene parta patrum fiunt anademata, mitrae,
10 interdum
in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt.
11 Eximia
veste et victu convivia, ludi,
12 pocula
crebra, unguenta coronae serta parantur,
13 nequiquam,
quoniam medio de fonte leporum
14 surgit amari aliquid quod in ipsis floribus
angat,
15 aut cum conscius ipse animus se forte
remordet
16 desidiose
agere aetatem lustrisque perire,
17 aut
quod in ambiguo verbum iaculata reliquit
18 quod
cupido adfixum cordi vivescit ut ignis,
19 aut
nimium iactare oculos aliumve tueri
20 quod
putat in vultuque videt vestigia risus.
1. Aggiungi che sperdono forze, si
distruggono per la fatica,
2. aggiungi
che si passa la vita al cenno di altri.
3. Si
disperde, in quel mentre, l’avere, si trasforma in drappi alla moda;
4. il
dovere languisce, il buon nome vacilla intaccato.
5. Ma
sorridono unguenti, e calzari sicioni nei piedi,
6. sicuro,
i grandi smeraldi che hanno verde la luce
7. son
montati nell’oro, la veste colore di mare si consuma
8. per
l’uso continuo, beve consunta amoroso sudore.
9. I
guadagni onorati dei padri si fanno mitre e diademi,
10. si
trasformano a volte in vestiti, stoffe di Alinda e di Ceo.
11. Si
allestiscono ricevimenti con decorazioni e portate mirabili,
12. feste,
boccali continui, profumi corone ghirlande:
13. inutilmente,
perché in mezzo al fonte di quei piaceri
14. sgorga
un che di amaro, che soffoca anche tra i fiori,
15. o
quando a volte l’animo stesso, consapevole, si rode
16. di
passare la vita a far niente, di annullarsi nei bordelli,
17. o
perché lei ha gettato e lasciato lí un’ambigua parola,
18. che
confitta nel cuore preso da desiderio incrudisce come fiamma,
19. o
perché pensa che quella troppo getta gli occhi d’intorno,
20. e
guarda un altro, o ravvisa nel volto la traccia di un sorriso.
(Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, Mondadori, Milano,
1992, pagg. 314-315)