Di fronte
alla concezione provvidenzialistica dell’universo – tipica degli stoici –
Lucrezio sostiene che è da rifuggire ogni forma di finalismo antropocentrico:
la Natura non lavora per l’uomo, anzi questi è l’unico fra gli esseri viventi
contro il quale la Natura sembra avere un atteggiamento ostile.
De rerum natura, V, vv. 195-234
1 Quod
<si> iam rerum ignorem primordia quae sint,
2 hoc tamen ex ispsis caeli rationibus
ausim
3 confirmare aliisque ex rebus reddere
multis,
4 nequaquam nobis divinitus esse paratam
5 naturam
rerum: tanta stat praedita culpa.
6 Principio
quantum caeli tegit impetus ingens,
7 inde avidam partem montes silvaeque
ferarum
8 possedere, tenet rupes vastaeque paludes
9 et mare quod late terrarum distinet oras.
10 Inde duas porro prope partis fervidus ardor
11 assiduusque geli casus mortalibus aufert.
12 Quod
superest arvi, tamen id natura sua vi
13 sentibus obtucat, ni vis humana resistat
14 vitai
causa valido consueta bidenti
15 ingemere et terram pressis proscindere
aratris.
16 Si non fecundas vertentes vomere glebas
17 terraique solum subigentes cimus et ortus,
18 sponte
sua nequeant liquidas exsistere in auras;
19 et
tamen interdum magno quaesita labore
20 cum iam per terras frondent atque omnia
florent,
21 aut nimiis torret fervoribus aetherius sol
22 aut subiti premunt imbres gelidaeque
pruinae,
23 flabraque ventorum violento turbine vexant.
24 Praeterea genus horriferum natura ferarum
25 humanae genti infestum terraque marique
26 cur alit atque auget? Cur anni tempora morbos
27 apportant? Quare mors immatura vagatur?
28 Tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis
29 navita, nudus humi iacet, infans, indigus
omni
30 vitali auxilio, cum primum in luminis oras
31 nixibus ex alvo matris natura profudit,
32 vagituque locum lugubri complet, ut aequumst
33 cui tantum in vita restet transire malorum.
34 At variae crescunt pecudes armenta feraeque
35 nec crepitacillis opus est nec cuiquam
adhibendast
36 alame nutricis blanda atque infractaloquella
37 nec
varias quaerunt vestis pro tempore caeli,
38 denique non armis opus est, non moenibus
altis,
39 qui
sua tutentur, quando omnibus omnia large
40 tellus ipsa parit naturaque daedala rerum.
1. Ché, se pure ignorassi quali siano
i primordi delle cose,
2. ciò,
tuttavia, dallo stesso comportarsi del cielo oserei
3. asserire,
e dimostrare in base a molti altri fatti,
4. che
assolutamente non per noi divinamente fu apprestata
5. la
natura del mondo: di coí grande colpa è ricolma.
6. Prima
di tutto: di quanto è coperto dall’ampia estensione del cielo
7. un’ingorda
metà i monti e le selve abitate da fiere
8. ne
trattengono, o la dominano rupi o paludi deserte
9. e
il mare che a gran distanza separa le rive delle terre.
10. Inoltre,
ancora circa due terzi il torrido caldo
11. e
il cadere incessante del gelo strappa ai mortali.
12. E
quanto resta di terra, tuttavia, Natura con la sua forza
13. ricoprirebbe
di sterpi, se umana forza non s’opponesse,
14. avvezza,
per regger la vita, a gemere sul forte bidente,
15. e
a spezzare avanti a sé la terra con l’aratro schiacciato.
16. Se,
rovesciando le zolle feconde con il vomere, e rivoltando
17. la
superficie della terra non spingiamo i frutti alla nascita,
18. spontaneamente
non potrebbero sbociare nelle limpide aure;
19. e
pure, talvolta, ottenuti con grande fatica,
20. quando
già sulla terra sono pieni i raccolti di fronde e di fiori,
21. o
per onde eccessive di caldo li brucia il fulgido sole,
22. o
piogge improvvise e gelide brine li annientano,
23. e
soffi di vento, con turbinare violento, li scuotono.
24. Inoltre:
la stirpe delle belve, che incute paura,
25. nemica
al genere umano, per terra e per mare perché Natura
26. nutre
e fa crescere? Perché le stagioni dell’anno apportano
27. morbi?
Perché s’aggira Morte immatura?
28. continuando:
il bimbo, come navigante gettato da onde
29. crudeli,
nudo a terra giace, senza parola, bisognoso di ogni
30. aiuto
per vivere, ora che appena alle spiagge di luce
31. con
faticoso parto fuori dal ventre materno Natura ha gettato,
32. e
di luttuoso vagito riempie il luogo, come è giusto per lui
33. cui
tanti restano in vita mali da attraversare.
34. Ma
vari crescono gli animali, gli armenti, le fiere,
35. né
servono a loro sonagli da bimbi, né alcuno ha bisogno
36. di
dolce e infantile parlare di buona nutrice,
37. né
ricercano vestiti mutevoli secondo stagione del cielo:
38. e
infine non d’armi abbisognano, non di alte mura,
39. con
cui difendere le proprie cose, poiché per ognuno ogni cosa
40. largamente
produce la terra stessa, e Natura, artefice delle cose.
(Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, Mondadori, Milano,
1992, pagg. 338-341)