Lucrezio, le caratteristiche del saggio

All’inizio del secondo libro del De rerum natura Lucrezio – il poeta latino seguace di Epicuro e fedele espositore delle dottrine del maestro – pone a confronto il modo di valutare le cose di colui che è diventato saggio grazie allo studio della filosofia e quello di colui che invece continua ad essere vittima delle passioni.

 

De rerum natura, II, 1-39 (

 

           1       Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,

           2       e terra magnum alterius spectare laborem;

           3       non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,

           4       sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est.

           5       Suave etiam belli certamina magna tueri

           6       per campos instructa tua sine parte pericli.

           7       Sed nil dulcius est, bene quam munita tenere

           8       edita doctrina sapientum templa serena,

           9       despicere unde queas alios passimque videre

           10    errare atque viam palantis quaerere vitae,

           11    certare ingenio, contendere nobilitate,

           12    noctes atque dies niti praestante labore

           13    ad summas emergere opes rerumque potiri.

           14    O miseras hominum mentis, o pectora caeca!

           15    Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis

           16    degitur hoc aevi quodcumquest! nonne videre

           17    nil aliud sibi naturam latrare, nisi utqui

           18    corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur

           19    iucundo sensu cura semota metuque?

           20    Ergo corpoream ad naturam pauca videmus

           21    esse opus omnino, quae demant cumque dolorem,

           22    delicias quoque uti multas substernere possint;

           23    gratius interdum neque natura ipsa requirit,

           24    si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes

           25    lampadas igniferas manibus retinentia dextris,

           26    lumina nocturnis epulis ut suppeditentur,

           27    nec domus argento fulget auroque renidet

           28    nec citharae reboant laqueata aurataque templa,

           29    cum tamen inter se prostrati in gramine molli

           30    propter aquae rivum sub ramis arboris altae

           31    non magnis opibus iucunde corpora curant,

           32    praesertim cum tempestas arridet et anni

           33    tempora conspergunt viridantis floribus herbas.

           34    Nec calidae citius decedunt corpore febres,

           35    textilibus si in picturis ostroque rubenti

           36    iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est.

           37    Quapropter quoniam nil nostro in corpore gazae

           38    proficiunt neque nobilitas nec gloria regni,

           39    quod superest, animo quoque nil prodesse putandum.

 

1.              Quando nel grande mare i venti sconvolgono acque tranquille,

2.            guardar da terra il grande affanno di altri: lí c’è piacere:

3.            non che sia godimento gradevole il fatto che altri soffra,

4.            ma è piacere guardare i mali da cui tu stesso sei libero.

5.            Anche scorgere grandi scontri di guerra, che si svolgono nella pianura,

6.            senza che tu sia nel pericolo: lí c’è piacere.

7.            Ma nulla dà gioia maggiore del possedere – ben fortificati

8.            da dottrina di saggi – templi sereni

9.            donde tu possa osservare altri là in basso, e vederli incerti

10.          vagare, e sperduti cercare una via nella vita:

11.          si sfidano sulle proprie capacità, fanno gare di titoli nobiliari,

12.          notte e giorno s’affannano, con fatica tremenda,

13.          per arrivare al sommo della carriera, e a grande potere.

14.          Intelligenze miserevoli, gli uomini, animi senza luce:

15.          in una vita piena di ombre, in pericoli grandi

16.            si consuma quel po’ di tempo che abbiamo. Non avverti

17.          che altro a se stessa natura non reclama, se non che

18.          il dolore stia lontano dal corpo, ben rimosso, e nell’intelligenza goda

19.          un piacere avvertibile, lontana da preoccupazione e paura?

20.          Perciò, avvertiamo che per la natura del corpo poche cose

21.          assolutamente bastano: tutte quelle che allontanano il dolore,

22.          e che valgono anche a fornire molti piaceri sensibili.

23.          È piú accetto, alle volte – la natura in se stessa non sente mancanze

24.          se non ci sono in casa statue dorate di giovani,

25.          che sorreggono con la destra fiaccole accese

26.          perché ci sia luce nei banchetti notturni

27.          o se il palazzo non splende d’argento e non brilla per l’oro,

28.          né le cetre fanno echeggiare i soffitti a riquadri dorati –

29.          anche senza tutto ciò, sdraiati, tra amici, su un morbido prato

30.          presso un rivo d’acqua sotto i rami d’un albero alto

31.          con non grandi mezzi gradevolmente ristorano il corpo,

32.          in ispecie quando il bel tempo sorride, e stagione

33.          dell’anno sparge di fiori l’erbe verdeggianti.

34.            Né il calor della febbre s’allontana piú presto dal corpo,

35.          se in lenzuola ricamate e su porpora accesa di rosso

36.          ti agiti, piú di quando accade se ti tocca dormire in vestito plebeo.

37.          E perciò, poiché nulla nel nostro corpo valgono

38.            ricchi tesori, né nobiltà, né la gloria d’un regno:

39.          ugualmente anche all’animo si deve pensare che[a nulla essi giovino.

 

(Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, Mondadori, Milano, 1992, pagg. 86-89)