Appoggiandosi all'autorità di san
Paolo, Lutero afferma che non il libero arbitrio e neppure la Legge salvano l'uomo, ma solo
la grazia può farlo. La Legge aiuta l'uomo a comprendere dove stia il
male ma non ad evitarlo.
M. Lutero, De servo arbitrio
Insomma
Paolo con la sua distinzione conferma ciò che diciamo. Egli divide gli uomini
che stanno alla Legge in due parti: quelli che operano in virtú dello
spirito e quelli che operano secondo la carne, senza gradazioni intermedie.
Egli infatti dice cosí: “Per le opere della Legge nessuna carne sarà
giustificata”. Che significa questo se non che quei cotali operano nella Legge
senza lo Spirito, in quanto sono soltanto carne, cioè empii e ignari di Dio, e
tali che quelli loro opere nulla giovano ad essi? Cosí, sempre Paolo, usando la
stessa distinzione, dice nella Lettera ai Galati (3, 2): “Avete ricevuto
lo Spirito mediante le opere della Legge o per avere ascoltato la
predicazione della fede?”. E di nuovo nella Lettera ai Romani (3, 21):
“Ora all'infuori della Legge si è manifestata la giustizia di Dio”; e ancora
(3, 23): “Pensiamo che l'uomo sia giustificato in virtú della fede senza le
opere della Legge”.
Tutto ciò
rende evidente che presso Paolo lo Spirito viene contrapposto alle opere della Legge,
non altrimenti che a ogni altra cosa non spirituale e a tutte le forze e
denominazioni della carne. Ed è certo che l'opinione di Paolo coincide con la
parola di Cristo riportata in Giovanni (3, 6): “Tutto ciò che non viene dallo
Spirito, è carne”, sia pur bello, santo, eccellente quanto si voglia, ed anche
si tratti delle piú belle opere della legge divina, prodotte dalle piú alte
forze nostre.
Occorre
infatti lo Spirito di Cristo, senza il quale ogni cosa non è che condannabile.
Rimanga pertanto assodato che Paolo intende per opera della Legge non le
opere rituali, ma tutte le opere di tutta la Legge. Rimarrà in pari
tempo assodato che anche nelle opere della Legge viene condannato tutto
ciò che è senza Spirito. Ma senza Spirito è quella forza del libero arbitrio,
di cui noi appunto discutiamo e che è quanto di meglio abbia l'uomo. Agire
infatti secondo le opere della Legge è ciò che di piú eccellente si
possa dire dell'uomo. Non dice Paolo: “Coloro che sono nel peccato e
nell'empietà contro la Legge”, ma: “Coloro che seguono le opere della Legge”,
che, cioè, sono piú amanti e piú zelanti della Legge, che, oltre alla
forza del libero arbitrio, hanno avuto anche il soccorso, ossia l'insegnamento
e l'incitamento della Legge. Se pertanto il libero arbitrio, anche se
aiutato dalla Legge e nell'osservanza di questa impegnato con il massimo
sforzo, non giova a nulla e non giustifica, ma viene lasciato nell'empietà e
nella carne, che cosa si pensa possa ottenere da solo senza neppure la Legge?
“È la Legge”
dice Paolo (Romani, 3, 20) “che ci dà la conoscenza del peccato”.
E qui egli
ci mostra quanto, e fino a che punto, ci giovi la Legge, evidentemente
perché il libero arbitrio di per sé è cosí cieco, che non conosce neppure il
peccato, ma ha bisogno della Legge che glielo additi. Ma chi ignora il
peccato, come potrebbe sforzarsi per eliminarlo? È come dire che egli scambierà
ciò che è peccato per quello che non lo è, e ciò che non è peccato per peccato.
E ciò è chiaramente comprovato dall'esperienza, la quale dimostra quanto il
mondo odii e perseguiti, nelle persone di coloro che in esso sono gli uomini
migliori e piú zelanti di giustizia e pietà, la giustizia di Dio, predicata
dall'Evangelo, e la tacci di eresia, di errore e di ogni altra colpa piú
grave, mentre va sbandierando e vendendo per giustizia e sapienza le opere e
gli intenti suoi, che sono davvero peccato ed errore. Con quelle parole,
adunque, Paolo chiude la bocca al libero arbitrio, dimostrando che attraverso la
Legge gli viene additato il peccato, come a chi del proprio peccato è
ignaro; e con ciò l'apostolo è ben lontano dal riconoscergli alcuna capacità,
di sforzarsi al bene.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1964, vol. VIII, pagg. 1142-1143)