L’importanza della testimonianza per le generazioni future e il dovere di parlare. Nell’ultimo passo vien posto il problema della “banalità del male” e della normalizzazione della Shoah.
L'esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti è estranea alle nuove generazioni dell'Occidente, e sempre più estranea si và facendo a mano a mano che passano gli anni. Per i giovani degli anni '50 e '60, erano cose dei loro padri: se ne parlava in famiglia, i ricordi conservavano ancora la freschezza delle cose viste. Per i giovani di questi anni '80, sono cose dei loro nonni: lontane, sfumate,"storiche". Essi sono assillati dai problemi d'oggi, diversi,urgenti: la minaccia nucleare, la disoccupazione, l'esaurimento delle risorse, l'esplosione demografica, le tecnologie che si rinnovano freneticamente ed a cui occorre adattarsi. La configurazione del mondo è profondamente mutata, l'Europa non è più il centro del pianeta.
[...] Per noi, parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno.
[…] Ci viene chiesto dai giovani, tanto più spesso insistentemente quanto più quel tempo si allontana chi erano, come erano fatti i nostri” aguzzini”. … Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male.’
(Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986, pp. 163 – 164 - 166)