Cominciamo col dire che le condizioni naturali non sono subite e, quel che più conta, non hanno esistenza propria, perché sono funzione delle tecniche e del genere di vita della popolazione che le definisce e che dà loro un significato, sfruttandole in un determinato senso. La natura non è contraddittoria in sé stessa; può esserlo soltanto nei termini della particolare attività umana che vi si inscrive, e le proprietà dell’ambiente acquistano significati diversi secondo la forma storica e tecnica che questo o quel genere di attività vi assume. D’altronde, anche elevati a questo livello umano che solo può conferire loro intelligibilità, i rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale fungono da oggetti di pensiero: l’uomo non li percepisce passivamente, ma li macina, dopo averli ridotti a concetti, per ricavarne un sistema che non è mai predeterminato: anche supponendo che la situazione rimanga la stessa, questa si presterà sempre alla possibilità di diverse sistemazioni. L’errore di Mannhardt e della scuola naturalista fu di credere che i fenomeni naturali sono ciò che i miti cercano di spiegare, quando invece sono piuttosto ciò attraverso cui i miti cercano di spiegare realtà che non sono d’ordine naturale ma logico.
(C. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, Il saggiatore, Milano, 1990, p. 109)