LUCIANO DI SAMOSATA, LA VITA UMANA E' COME UN CORTEO


 

Io ripensavo alla vita umana, che mi pare come una lunga processione. Fortuna è il cerimoniere che ordina e distribuisce gli uffici e le vesti: ti piglia uno che le viene innanzi, lo veste da re, gli mette la tiara in capo, lo circonda di guardie, lo corona d'un diadema; sopra un altro getta una tonacella da servo; a chi da un aspetto bello, a chi uno brutto e ridicolo, perché lo spettacolo dev'essere variato. Spesso nel mezzo della processione muta gli ordini, e fa scambiar vesti a taluni; spoglia Creso, e gli fa prendere abito di servo e di prigioniero; e Meandro, che era vestito da servo, ella lo riveste dei regali paramenti di Policrate, e glieli fa portare per qualche tempo. Finita la processione, ciascuno restituisce gli ornamenti, e si spoglia delle vesti e del corpo: e tutti ritornano come erano prima, l'uno indifferente dall'altro. Alcuni sciocchi quando la Fortuna si presenta a richiedere gli ornamenti, l'hanno a male e se ne sdegnano, come se fossero spogliati di roba loro, e non di roba prestata per poco tempo. Hai veduto molte volte sulla scena, cred'io, gli attori, che, come vuole il dramma, diventano ora Creonti, ora Priami, ora Agamennoni; e, se occorre, colui che poco innanzi rappre­sentava il grave personaggio di Cecrope o di Eretteo, poco dipoi esce vestito da servo, perché così comanda il poeta. Alla fine del dramma ciascuno di loro depone il vestone di broccato, la maschera, ed i coturni, e se ne va povero e tapino; non è più Agamennone d'Àtreo, o Creonte di Meneceo, ma si chiama col suo nome Polo di Caricle da Sunio, o Satiro di Teogitone da Maratona. Così sono anche le cose umane, come mi parvero allora che vidi quello spettacolo.

 

Filonide - E dimmi, o Menippo, quelli che hanno magnifici e grandi sepolcri sulla terra, e colonne, e statue, ed iscrizioni, non sono laggiù onorati più degli altri morti ?

 

Menippo — Bah! se avessi visto Mausolo (quel di Caria, che è tanto famoso per il suo sepolcro), non avresti finito di ridere: miseramente gettato in un angolo, e nascosto nella turba degli altri morti, aveva tanto piacere, credo io, del suo monumento, quanto era il peso che si sentiva gravar di sopra. Che, o amico mio, quando Eaco ha misurato a ciascuno il suo luogo (che al più è d'un piede) si deve rimanere lì alla misura assegnata. E avresti riso molto di più se avessi visto quelli che fra noi sono re e satrapi, esser mendichi laggiù, e fare i salumai per bisogno, o insegnare a leggere, e chiunque gli ingiuria e gli schiaffeggia come omiciattoli da nulla. Quando vidi Filippo il Macedone, non potevo tenermi dal ridere di lui, che mi fu additato in un angolo, che rattoppava ciabatte. Ed era da vedere molti altri re sulle vie, che cercavano elemosina, e Serse, e Dario, e Policrate.

 

Filonide — Mi racconti cose strane dei re, e quasi incre­dibili. E Socrate che fa, e Diogene, e qualche altro sapiente ?

 

Menippo - Socrate anche lì passeggia e dice la sua a tutti: se ne sta con Palamede, e Ulisse, e Nestore, e qualche altro morto ciarliero ed ha le gambe ancora gonfie per il veleno bevuto. Il buon Diogene s'è allogato vicino a Sardanapalo d'Assiria, a Mida di Frigia, e ad altri ricconi; e quando li ode piangere e rammentare l'antica fortuna, egli ride e sciala, e sdraiato a terra, canta con un gran vocione che copre i loro lamenti: perciò essi se ne sde­gnano, e pensano di sloggiare di lì, non potendo sopportare Diogene.

 

Filonide — Basti di questo. Che è il decreto che da prima mi dicevi fatto contro i ricchi ?

 

Menippo - Hai fatto bene a ricordarmene. Volevo parlarti di questo, e non so come mi si è tanto svagato il discorso. Mentre io ero laggiù, i Pritani intimarono un'adunanza per affari di utilità comune. Vedendo concorrervi molti, mi mescolai tra i morti, ed andai nell'adunanza. Furono trattate varie faccende, infine anche questa dei ricchi. Erano questi accusati di molte e gravi colpe, di violenza, di arroganza, di superbia, di ingiustizia : sicché si levò un capopopolo, e lesse questo decreto : — Decreto. « Attesoché i ricchi commettono molte ingiustizie nella vita con le rapine, le prepotenze, ed ogni maniera di dispregi verso i poveri, il Senato ed il Popolo decreta che quando essi muoiono, i corpi loro patiscano pena come gli altri malvagi, ma le anime ritornino su ed entrino in corpo agli asini, e vi staranno per dugento cinquantamila anni, nascendo asini da asini, portando pesi, ed essendo menati e picchiati dai poveri: dopo questo termine potranno morire ». Disse questo parere Cranio figliuolo di Scheletrino, della città Defuntana, della tribù dei Morticini. Letto questo decreto, i magistrati diedero il loro voto, il popolo levò le mani e l'approvò. Ecate ululò, Cerbero abbaiò, e così rimase ratificato e fermo. Ed eccoti ciò che fu stabilito nel parlamento. Ora io mi avvicinai a Tiresia, essendo disceso a posta per questo, e, narrategli ogni cosa, strettamente lo pregai di dirmi quale egli credeva la miglior vita. Ed egli sorridendo, che è un vecchietto cieco, pallido, e con una vociolina sottile, mi rispose : — O figliuolo, io so la cagione del tuo dubbio, la ti viene dai sapienti, che sono discordi fra di loro: ma io non posso dirtelo, che è vietato da Radamanto. — No, padre mio caro, — risposi. — Deh dimmelo, e sappi che io vo più cieco di te camminando nella vita. — Egli allora mi trasse in disparte molto lungi dagli altri, e fattomisi all'orecchio, pianamente mi disse : — La vita dell'ignorante è la migliore e la più saggia; quindi lascia di spiare il cielo, di strolagare su i principi e i fini delle cose; manda alla malora i filosofi e i loro sillogismi, che le son tutte baie; ed attendi solo a questo, usar bene del presente, passar ridendo sopra molte cose, non dare importanza a nulla.

 

(Luciano di Samosata, “Menippo”, 16)