Nella "Morte di Peregrino" Luciano descrive il suicidio di un tal Peregrino Pròteo, bruciatosi vivo per protesta durante le Olimpiadi del 195 d.C. Questo strano santone era stato anche cristiano: quando fu arrestato furono proprio i Cristiani a difenderlo, rivelando così, secondo l'autore, tutta la loro ingenua credulità.
Fin dall'alba era possibile veder sostare dinnanzi al carcere anziane vedove e bambini orfani, ed i loro capi, corrotti i carcerieri, trascorrevano perfino la notte con lui dentro il carcere. Poi gli venivano portate cibarie di ogni sorta e si recitavano per lui le loro preghiere, e l'ottimo Peregrino era considerato da loro un novello Socrate. E per l'appunto in quell'occasione a Peregrino, con il pretesto del carcere, vennero da loro molte ricchezze, ed egli si procurò in questo modo una non piccola rendita per l'avvenire. Infatti quegli sventurati sono assolutamente convinti che saranno immortali e che vivranno per sempre, e perciò la maggior parte di essi disprezza la morte e la affronta volentieri. E poi il loro primo legislatore [Cristo] li persuase che sono tutti fratelli tra loro, una volta che abbiano rinnegato gli dèi dei Greci disobbedendo loro e adorino quel sapiente crocifisso e vivano secondo le sue leggi: dunque disprezzano allo stesso modo tutti i beni terreni e li credono comuni. Perciò, qualora arrivi tra loro un uomo che sia un abile ciarlatano e che sappia approfittare delle situazioni, in men che non si dica diventa ricco sfondato, beffando questi uomini sempliciotti.
(Luciano, Morte di Peregrino 12-13 passim)