LUCREZIO, I SIMULACRA

 

Esistono quelli che chiamiamo simulacri delle cose;
i quali, come membrane strappate dalla superficie delle cose,
volteggiano qua e là per l'aria; e sono essi stessi
che atterriscono gli animi, presentandosi a noi,
sia mentre vegliamo, sia nel sonno, quando spesso osserviamo
figure strane e spettri di gente che ha perduto la luce della vita,
i quali spesso, mentre languivamo addormentati, paurosamente
ci svegliarono: perché non crediamo, per caso, che le anime
fuggano dall'Acheronte o che le ombre volteggino tra i viventi
o che qualcosa di noi possa durare dopo la morte,
quando il corpo e la natura dell'animo insieme disfatti
si sono disgregati nei loro diversi principi primi.
Dico dunque che immagini delle cose e tenui figure
sono emesse dalle cose e si staccano dalla loro superficie.
Ciò si può conoscere di qui, anche con mente ottusa.
[Ma, poiché ho insegnato quali siano i principi
di tutte le cose e quanto differenti per varietà di forme
spontaneamente volteggino, stimolati da moto eterno,
e in che modo da questi si possa produrre ogni cosa,
ora comincerò a dirti ciò che con queste cose è connesso
strettamente: esistono quelli che chiamiamo simulacri delle cose,
cui si può dare quasi il nome di membrane o di corteccia,
poiché l'immagine presenta aspetto e forma simile all'oggetto,
qualunque sia, dal cui corpo essa appare emanata per vagare.]
Anzitutto, poiché molte tra le cose visibili emettono
corpi, in parte liberamente diffusi,
come la legna emette fumo e il fuoco calore,
e in parte più strettamente contesti e densi, come si vede
talora, quando le cicale in estate depongono le fini tuniche,
e quando i vitelli nascendo lasciano cadere membrane
dalla superficie del corpo, e similmente quando la lubrica
serpe lascia tra i pruni la veste: infatti spesso vediamo
i pruneti coperti di svolazzanti spoglie di serpi -
poiché tali cose accadono, una tenue immagine deve pure
dalle cose essere emessa, staccarsi dalla superficie delle cose.
Infatti, perché cadano e si scostino dalle cose quegli oggetti
piuttosto che altri più sottili, non è possibile dire;
tanto più che le cose hanno in superficie molti corpi
minuti, tali che possono volarne via nello stesso ordine
in cui erano, conservando la forma esteriore,
tanto più velocemente, quanto meno possono essere impediti,
pochi come sono, e collocati in prima linea.
Giacché certo vediamo molte cose emettere particelle e spanderle in abbondanza,
non solo dal profondo e dall'intimo, come abbiamo detto prima,
ma anche dalla superficie: e ciò avviene spesso per il loro stesso colore.
E generalmente fanno questo i velari gialli e rossi
e color di ruggine, quando, tesi su grandi teatri,
oscillano e fluttuano, spiegati ovunque tra pali e travi:
ivi infatti colorano sotto di sé il pubblico delle gradinate
e tutto lo sfoggio della scena ‹e la splendida folla dei senatori›,
e li costringono a fluttuare nei loro colori.
E quanto più sono chiuse, tutt'intorno, le pareti
del teatro, tanto più ciò che è dentro, soffuso di grazia,
ride tutto nella raccolta luce del giorno.
Dunque, se le tele emettono dalla superficie il colore,
ogni oggetto deve anche emettere immagini tenui,
poiché in ambo i casi è dalla superficie che avviene il lancio.
Ci sono dunque, senz'altro, sicure tracce di forme,
che dovunque volteggiano fornite di un sottile tessuto,
né si possono vedere separate ad una ad una.
Inoltre, ogni odore, fumo, calore e altre cose
consimili, perciò traboccano dalle cose, disperdendosi,
perché, venendo dalle profondità, al cui interno son sorti,
si scindono nel cammino sinuoso, né le vie hanno varchi diretti
per cui possano affrettarsi a uscire insieme, dopo esser insieme sorti.
Per contro, quando vien lanciata la tenue membrana d'un colore
che si trova alla superficie, non c'è nulla che possa lacerarla,
perché, collocata in prima linea, ha sgombro il cammino.
Infine, tutti i simulacri che ci appaiono negli specchi,
nell'acqua e in ogni superficie risplendente,
giacché sono dotati di aspetto simile alle cose,
devono consistere di immagini emesse da queste.
Ci sono dunque tenui immagini delle forme, simili ad esse,
che, sebbene nessuno le possa discernere ad una ad una,
tuttavia, rinviate indietro con assiduo e frequente riflesso,
rimandano dal piano degli specchi la visione,
e si vede che non possono altrimenti conservarsi,
in modo che sian riflesse figure tanto simili a ciascun oggetto.
E ora apprendi di che tenue natura consti l'immagine.
E in primo luogo, considera quanto i primi principi
sono al di sotto dei nostri sensi e quanto più piccoli delle cose
che gli occhi primamente cominciano a non potere più scorgere.
Ora, tuttavia, affinché io ti confermi anche questo, apprendi
in poche parole quanto siano sottili i principi di tutte le cose.
Anzitutto, già ci sono alcuni animali talmente piccoli
che una terza parte di loro non si può in alcun modo vedere.
Un viscere qualunque di questi, come si deve credere che sia?
E il globo del cuore o dell'occhio? E le membra? E gli arti?
Quanto son piccini? Che dire poi di ciascuno dei primi principi
di cui deve constare la loro anima e la natura dell'animo?
Non vedi forse quanto siano sottili e quanto minuti?
Inoltre, tutte le cose che emanano dal proprio corpo
un odore acre, la panacea, il ripugnante assenzio
e l'abrotono greve e l'amara centaurea:
se per caso ‹premi› un poco tra due ‹dita› una qualunque di queste,
‹un forte odore aderirà alle tue dita...› ...
e non riconoscere piuttosto che molti simulacri di cose vagano
in molti modi, non dotati di forza propria e privi di sensibilità?
Ma, affinché tu non creda, per caso, che vadano vagando solo
quei simulacri che si distaccano dalle cose, e non altri,
esistono anche quelli che si generano spontaneamente
e si formano da soli in questa regione del cielo
che si chiama aria, e foggiati in molti modi volano in alto,
come talora vediamo le nuvole facilmente formarsi nell'alto
del cielo e oscurare il sereno aspetto del firmamento,
accarezzando l'aria col moto: ché spesso si vedono volare
volti di Giganti e spander l'ombra per ampio spazio,
talora grandi monti e macigni divelti
dai monti avanzare e passar davanti al sole,
poi una belva tirarsi dietro altri nembi e guidarli.
E fondendosi non cessano di mutare il proprio aspetto
e assumere contorni di forme d'ogni specie.
Ora, in che facile e celere modo si generino quei simulacri,
e di continuo fluiscano dalle cose e staccatisi s'allontanino,
‹io esporrò...› ...
sempre infatti ciò che è all'estrema superficie trabocca
dalle cose, sì che esse possono emetterlo. E quando ciò raggiunge
altre cose, le attraversa, come fa soprattutto con la stoffa.
Ma, quando ha raggiunto aspre rocce o legname, lì sùbito
si lacera, sì che non può rimandare alcun simulacro.
Ma, quando fanno ostacolo oggetti risplendenti e densi,
qual è soprattutto lo specchio, niente di simile accade.
Infatti non può attraversarli, come la stoffa, né d'altra parte
può lacerarsi: a conservarlo così illeso provvede la levigatezza.
Perciò avviene che di lì tornino a noi riflessi i simulacri.
E per quanto subitamente, in qualsiasi momento, tu ponga
una cosa qualunque contro uno specchio, appare l'immagine;
sì che puoi conoscere che sempre fluiscono dalla superficie
dei corpi tessuti tenui e tenui figure delle cose.
Dunque, molti simulacri in breve tempo si generano,
sì che a ragione può dirsi che per tali cose sia celere il nascere.
E come il sole deve spandere in breve tempo molti
raggi perché continuamente tutto ne sia pieno,
così dalle cose, parimenti e per simile ragione, devono
in un istante effondersi molti simulacri di cose,
in molti modi, da ogni parte, in tutte le direzioni;
giacché, ovunque volgiamo alle superfici delle cose
lo specchio, le cose vi si riflettono con simile forma e colore.
Inoltre, il cielo, anche se fu or ora in uno stato di estrema limpidezza,
con la massima celerità diventa orridamente torbido,
sì che potresti credere che da ogni parte le tenebre abbiano tutte
lasciato l'Acheronte e abbiano riempito le grandi caverne del cielo:
a tal punto, sorta la tetra notte dei nembi,
incombono dall'alto volti di cupa paura;
e tuttavia, di questi quanto piccola parte sia l'immagine,
non c'è alcuno che possa dirlo, né a parole renderne conto.
E ora, con che celere moto procedano i simulacri
e quale mobilità nell'attraversare a nuoto l'aria sia ad essi data,
sì che in lungo tragitto si consuma breve tempo,
quale che sia il luogo a cui ciascuno con diverso impulso tende,
esporrò in versi soavi piuttosto che numerosi;
così il breve canto del cigno è migliore di quel clamore
delle gru disperso tra le eteree nubi dell'Austro.
Anzitutto, molto spesso si può vedere che le cose leggere
e fatte di corpi minuti sono celeri.
Di tale specie sono, certo, la luce del sole e il suo calore
perché sono fatti di elementi minuti,
che vengono quasi battuti e non esitano ad attraversare
l'aria interposta, incalzati dal colpo susseguente.
Sùbito infatti luce succede a luce e, come in serie
ininterrotta, splendore è stimolato da splendore.
Perciò bisogna che i simulacri parimenti possano
trascorrere in un istante attraverso uno spazio
inimmaginabile, anzitutto perché c'è una piccola causa
lontano, da tergo, che li sospinge e li caccia innanzi,
quando, del resto, essi procedono con tanto alata levità;
poi perché vengono emessi dotati di un tessuto così rado
che posson penetrare facilmente in cose di qualunque tipo
e, per così dire, infiltrarsi attraverso l'aria interposta.
Inoltre, se quelle particelle che son mandate fuori
dalle intime profondità delle cose, come la luce
e il calore del sole, in un momento si vedono staccarsi
e diffondersi per tutto lo spazio del cielo
e volare su per il mare e le terre e inondare il cielo,
che avverrà allora di quelle che son già pronte in prima linea,
quando vengono lanciate via e nulla ne ritarda il dipartirsi?
Non vedi quanto più presto e più lontano debbono andare,
e correre attraverso una distesa di spazio molto più grande,
nel tempo stesso in cui i raggi del sole si spandono per il cielo?
Anche questa sembra essere una prova sopra tutte vera
del celere moto con cui procedono i simulacri delle cose:
appena si pone sotto il cielo sereno un'acqua limpida,
sùbito, se il cielo è stellato, puri
rispondono nell'acqua i raggianti astri del firmamento.
Non vedi, dunque, ormai come in un istante l'immagine
cada dalle plaghe dell'etere nelle plaghe terrene?
Perciò, ancora e ancora, devi riconoscere che con mirabile
‹rapidità sono emessi dalle cose›
corpi che feriscono gli occhi e provocano il vedere.
E continuamente fluiscono da certe cose gli odori;
come il fresco dai fiumi, il calore dal sole, dalle onde del mare
l'esalazione che corrode i muri intorno alle spiagge.
Né cessano varie voci di volteggiare per l'aria.
Ancora, spesso entra nella bocca un'umidità di sapore salmastro
quando camminiamo lungo il mare; e d'altra parte, quando
guardiamo mescolare un infuso d'assenzio, ci punge l'amaro.
A tal punto è vero che da tutte le cose emanazioni d'ogni tipo
fluendo si staccano e da ogni parte si diffondono in tutte
le direzioni, né sosta né requie è mai dato frapporre al fluire,
giacché di continuo i nostri sensi ne sono impressionati,
e sempre possiamo vedere ogni cosa, percepirne odori e suoni.
Inoltre, giacché una forma palpata con le mani
nelle tenebre si riconosce in certo modo uguale a quella
che si discerne alla luce e nel luminoso fulgore,
da una simile causa devono essere mossi il tatto e la vista.
Ora, dunque, se tastiamo un oggetto quadrato e di questo
riceviamo l'impressione nelle tenebre, nella luce che cosa
potrà offrirsi quadrata allo sguardo, se non la sua immagine?
È quindi evidente che la causa del vedere sta nelle immagini
e che senza di queste non può essere veduta cosa alcuna.
Ora, quei simulacri di cui parlo, procedono
da ogni parte e si lanciano e diffondono in ogni direzione.
Ma, poiché noi possiamo vedere soltanto con gli occhi,
perciò accade che, ove volgiamo lo sguardo, ivi tutte le cose
gli si fanno incontro e lo colpiscono con la forma e il colore.
E quanto ogni cosa sia da noi distante, è l'immagine
che ce lo fa vedere e procura che lo determiniamo.
Infatti, quando viene emessa, sùbito caccia innanzi e spinge
l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e gli occhi,
e così questa scorre tutta nel nostro sguardo
e quasi asterge le pupille, e così passa.
Perciò accade che vediamo quanto ogni cosa sia lontana.
E quanta più aria è agitata innanzi a noi
e quanto più lungo è il soffio che asterge i nostri occhi,
tanto più ogni cosa si vede remota nella lontananza.
Queste cose si svolgono, ben inteso, con celerità somma,
sì che vediamo insieme quale sia ogni cosa e quanto disti.
In tale riguardo non dobbiamo affatto meravigliarci
perché i simulacri che colpiscono gli occhi non possano
essere veduti a uno a uno e invece le cose stesse sono scorte.
Giacché, anche quando il vento ci sferza a poco a poco
e quando il freddo aspro s'insinua, non soliamo sentire
ogni singola particella di quel vento e di quel freddo,
bensì l'insieme, e vediamo allora che il nostro corpo
subisce colpi proprio come se qualche cosa
ci sferzasse e ci desse la sensazione del suo corpo dall'esterno.
Inoltre, quando picchiamo una pietra con un dito,
tocchiamo solo la superficie del sasso e il colore esteriore,
eppure non sentiamo questo col tatto, bensì sentiamo
la durezza stessa del sasso nell'intima profondità.
Ora, suvvia, apprendi perché l'immagine si veda
al di là dello specchio: giacché certo appare discosta nel fondo.
Così è delle cose che son vedute realmente fuori, attraverso
una porta, quand'essa offre attraverso a sé una vista aperta,
e molte cose fa sì che dalla casa siano vedute fuori.
Giacché anche questa visione si produce per una duplice aria.
Prima infatti si scorge in tal caso l'aria al di qua degli stipiti,
seguono poi gli stessi battenti a destra e a sinistra,
successivamente asterge gli occhi la luce di fuori,
poi l'altra aria e quelle cose che sono vedute realmente fuori.
Così, appena l'immagine dello specchio si è lanciata avanti,
mentre viene alle nostre pupille, caccia innanzi e spinge
l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e gli occhi,
e fa sì che possiamo sentire tutta questa prima che lo specchio.
Ma, quando abbiamo percepito anche lo specchio stesso,
sùbito l'immagine che da noi procede perviene
a questo, e riflessa ritorna verso i nostri occhi,
e sospinge e fa scorrere innanzi a sé altra aria,
e fa sì che vediamo questa prima di lei stessa,
e per ciò sembra distare dallo specchio tanto discosta.
Quindi, ancora e ancora, non è giusto che ci si meravigli
‹che il medesimo fenomeno dell'apparire al di là, avvenga
sia per le cose che si vedono attraverso la porta, sia›
per quelle che rimandano dal piano degli specchi la visione,
giacché da duplice aria è prodotta la cosa in ambo i casi.
Ora, quella che per noi è la parte destra delle membra,
negli specchi accade che appaia a sinistra, perché l'immagine,
quando arriva e urta contro il piano dello specchio,
non si volta girando su sé stessa e restando inalterata,
ma è rovesciata dritta, come se uno sbatta una maschera
di creta, prima che sia asciutta, contro un pilastro o una trave,
ed essa conservi immediatamente dritta di fronte
la propria figura e riproduca sé stessa rovesciata indietro.
Accadrà che quell'occhio che prima era destro, ora
sia sinistro, e reciprocamente il sinistro diventi destro.
Anche accade che da specchio a specchio si trasmetta l'immagine,
sì che sogliono prodursi anche cinque ‹o› sei simulacri.
Infatti quanti oggetti saranno nascosti là dietro, in una parte più interna,
di lì, benché remoti in fondo ad un tortuoso andirivieni,
sarà possibile tirarli fuori tutti per serpeggianti passaggi
mediante più specchi e vedere che sono dentro la casa.

 

(Lucrezio, De rerum natura, IV)