La crtica al cristianesimo
conferma – nell’analisi di Machiavelli – l’importanza della religione per la
politica (come instrumentum
regni): il cattivo esempio della corte pontificia ha fatto perdere
all’Italia ogni devozione; i papi, inoltre, non hanno mai avuto la forza
sufficiente per unificare l’Italia e hanno addirittura impedito che qualche
principe italiano lo facesse. Cosí l’Italia divisa è diventata preda dei
barbari. Questo giudizio di Machiavelli ha suscitato grandi polemiche,
soprattutto negli anni del Risorgimento. In contrasto con la posizione di
Machiavelli ricordiamo Ludovico Antonio Muratori, per il quale senza il papato
nel Medioevo l’Italia sarebbe stata divisa in due provincie, tedesca al nord e
araba al sud.
N. Machiavelli, Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio, I, cap. XII
Quelli príncipi o quelle
repubbliche le quali si vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra
cosa a mantenere incorrotte le cerimonie della loro religione, e tenerle sempre
nella loro venerazione; perché nessuno maggiore indizio si puote avere della
rovina d’una provincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo è facile
a intendere, conosciuto che si è in su che sia fondata la religione dove l’uomo
è nato; perché ogni religione ha il fondamento della vita sua in su qualche
principale ordine suo. La vita della religione gentile era fondata sopra i
responsi degli oracoli e sopra la sètta degli indovini e degli aruspici: tutte le
altre loro cerimonie, sacrifici e riti, dependevano da queste; perché loro
facilmente credevono che quello Iddio che ti poteva predire il tuo futuro bene
o il tuo futuro male, te lo potessi ancora concedere. Di qui nascevano i
templi, di qui i sacrifici, di qui le supplicazioni ed ogni altra cerimonia in
venerarli: per che l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone ed altri
celebri oracoli i quali riempivano il mondo di ammirazione e divozione. Come
costoro cominciarono dipoi a parlare a modo de’ potenti, e che questa falsità
si fu scoperta ne’ popoli, diventarono gli uomini increduli ed atti a
perturbare ogni ordine buono. Debbono adunque i príncipi d’una republica o
d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono, mantenergli; e
fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro repubblica religiosa, e
per conseguente buona e unita. E debbono tutte le cose che nascono in favore di
quella, come che le giudicassono false, favorirle e accrescerle; e tanto piú lo
debbono fare quanto piú prudenti sono, e quanto piú conoscitori delle cose
naturali. E perché questo modo è stato osservato dagli uomini savi, ne è nato
l’opinione dei miracoli che si celebrano nelle religioni eziandio false; perché
i prudenti gli augumentano, da qualunque principio e’ si nascano, e l’autorità
loro dà poi a quelli fede appresso a qualunque. Di questi miracoli ne fu a Roma
assai, intra i quali fu che saccheggiando i soldati romani la città de’
Veienti, alcuni di loro entrarono nel tempio di Giunone, ed accostandosi alla immagine
di quella e dicendole “Vis venire Romam?”, parve a alcuno vedere che la
accennasse, a alcuno altro che la dicesse di sí. Perché sendo quegli uomini
ripieni di religione (il che dimostra Tito Livio, perché nello entrare nel
tempio vi entrarono sanza tumulto, tutti devoti e pieni di riverenza), parve
loro udire quella risposta che alla domanda loro per avventura si avevano
presupposta; la quale opinione e credulità da Cammillo e dagli altri príncipi
della città fu al tutto favorita ed accresciuta. La quale religione se ne’
príncipi della repubblica cristiana si fusse mantenuta secondo che dal datore
d’essa ne fu ordinato, sarebbero gli stati e le repubbliche cristiane piú
unite, piú felici assai che le non sono. Né si può fare altra maggiore
coniettura della declinazione d’essa, quanto è vedere come quelli popoli che
sono piú propinqui alla Chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno
religione. E chi considerasse i fondamenti suoi, e vedesse l’uso presente
quanto è diverso da quelli, giudicherebbe essere propinquo sanza dubbio o la
rovina o il fragello.
E perché molti sono d’opinione
che il bene essere delle città d’Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio
contro a essa discorrere quelle ragioni che mi occorono, e ne allegherò due
potentissime ragioni le quali secondo me non hanno repugnanzia. La prima è che
per gli esempli rei di quella corte questa provincia ha perduto ogni divozione
e ogni religione; il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti
disordini: perché cosí come dove è religione si presuppone ogni bene, cosí dove
quella manca si presuppone il contrario. Abbiamo adunque con la Chiesa e con i
preti noi Italiani questo primo obligo: di essere diventati sanza religione e
cattivi: ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della
rovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questo provincia
divisa. E veramente alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene
tutta alla ubbidienza d’una republica o d’uno principe, come è avvenuto alla Francia
ed alla Spagna. E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine, né
abbia anch’ella o una republica o uno principe che la governi, è solamente la
Chiesa: perché avendovi quella abitato e tenuto imperio temporale, non è stata
sí potente né di tanta virtú che l’abbia potuto occupare la tirannide d’Italia
e farsene principe, e non è stata, dall’altra parte, sí debole che per paura di
non perdere il dominio delle sue cose temporali la non abbia potuto convocare
uno potente che la difenda contro a quello che in Italia fusse diventato troppo
potente: come si è veduto anticamente per assai esperienze, quando mediante
Carlo Magno la ne cacciò i Longobardi ch’erano già quasi re di tutta Italia; e
quando ne’ tempi nostri ella tolse la potenza a’ Viniziani con l’aiuto di
Francia; dipoi ne cacciò i Franciosi con l’aiuto de’ Svizzeri. Non essendo
adunque stata la Chiesa potente da potere occupare la Italia, né avendo
permesso che un altro la occupi, è stata cagione che la non è potuta venire
sotto uno capo, ma è stata sotto piú príncipi e signori, da’ quali è nata tanta
disunione e tanta debolezza che la si è condotta a essere stata preda, non
solamente de’ barbari potenti, ma di qualunque l’assalta. Di che noi altri
Italiani abbiamo obligo con la Chiesa, e non con altri. E chi ne volesse per
esperienza certa vedere piú pronta la verità, bisognerebbe che fusse di tanta
potenza che mandasse ad abitare la corte romana, con l’autorità che l’ha in
Italia, in le terre de’ Svizzeri, i quali oggi sono solo popoli che vivono, e
quanto alla religione e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi; e
vedrebbe che in poco tempo farebbero piú disordine in quella provincia i rei
costumi di quella corte che qualunque altro accidente che in qualunque tempo vi
potesse surgere.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X,
pagg. 381-383