Le differenze in fatto di
religione fra gli antichi e gli uomini del suo tempo sono utilizzate da
Machiavelli per spiegare come mai i primi amassero di piú la libertà, fossero
piú feroci e piú desiderosi di gloria mondana. La nostra religione invece,
insegnando l’umiltà, ha reso il mondo debole e alla mercè di scellerati.
N. Machiavelli, Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio, II, cap. II
Pensando adunque donde possa
nascere che in quegli tempi antichi i popoli fussero piú amatori della libertà
che in questi, credo nasca da quella medesima cagione che fa ora gli uomini
manco forti, la quale credo sia la diversità della educazione nostra
dall’antica, fondata nella diversità della religione nostra dalla antica.
Perché avendoci la nostra religione mostro la verità e la vera via, ci fa
stimare meno l’onore del mondo: onde i Gentili stimolandolo assai, ed avendo
posto in quello il sommo bene, erano nelle azioni loro piú feroci. Il che si
può considerare da molte loro constituzioni, cominciandosi dalla magnificenza
de’ sacrifizi loro alla umiltà de’ nostri, dove è qualche pompa piú delicata
che magnifica, ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui non mancava la pompa
né la magnificenza delle cerimonie, ma vi si aggiungeva l’azione del sacrificio
pieno di sangue e di ferocità, ammazzandovisi moltitudine d’animali: il quale
aspetto, sendo terribile, rendeva gli uomini simili a lui. La religione antica,
oltre a di questo, non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria, come
erano capitani di eserciti e principi di repubbliche. La nostra religione ha
glorificato piú gli uomini umili e contemplativi che gli attivi. Ha dipoi posto
il sommo bene nella umiltà, abiezione, e nel dispregio delle cose umane;
quell’altra lo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezza del corpo ed
in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione
nostra richiede che tu abbi in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire piú
che a fare una cosa forte. Questo modo di vivere adunque pare che abbi renduto
il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scelerati, i quali sicuramente
lo possono maneggiare, veggendo come l’università degli uomini per andare in
Paradiso pensa piú a sopportare le sue battiture che a vendicarle. E benché
paia che si sia effeminato il mondo e disarmato il Cielo, nasce piú senza
dubbio dalla viltà degli uomini, che hanno interpretato la nostra religione
secondo l’ozio e non secondo la virtú. Perché se considerassono come la ci
permette la esaltazione e la difesa della patria, vedrebbono come la vuole che
noi l’amiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali che poi la possiamo
difendere. Fanno adunque queste educazioni e sí false interpretazioni che nel
mondo non si vede tante republiche quante si vedeva anticamente, né per
consequente si vede ne’ popoli tanto amore alla libertà quanto allora. Ancora
che io crede piú tosto essere cagione di questo, che lo Imperio romano con le
sue arme e sua grandezza spense tutte le republiche e tutti i viveri civili. E
benché poi tale Imperio si sia risoluto, non si sono potute le città ancora
rimettere insieme né riordinare alla vita civile, se non in pochissimi luoghi
di quello Imperio. Pure comunque si fusse, i Romani in ogni minima parte del
mondo trovarono una congiura di repubbliche armatissime ed ostinatissime alla
difesa della libertà loro. Il che mostra che il Popolo romano senza una rara ed
estrema virtú mai non le arebbe potute superare.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X,
pagg. 105-106