Tutte le strutture complesse,
quali gli stati (ma anche le sette religiose), sono soggette alle leggi di
natura: come sono nate, cosí sono destinate a morire. Ma se si mantengono ben
ordinate e si tengono lontane dalle crisi possono vivere piú a lungo. Con
l’andare del tempo le crisi sono però inevitabili. Esse possono essere
positive, se conducono gli stati a recuperare quei princípi da cui sono nati, e
se sono in grado di determinare una loro rifondazione.
N. Machiavelli, Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio, III, cap. I
Egli è cosa verissima come tutte
le cose del mondo hanno il termine della vita loro. Ma quelle vanno tutto il
corso che è loro ordinato dal cielo generalmente, che non disordinano il corpo
loro ma tengonlo in modo ordinato, o che non altera o s’egli altera è a salute
e non a danno suo. E perché io parlo de’ corpi misti come sono le republiche e
le sètte, dico che quelle alterazioni sono a salute che le riducano inverso i
principii loro. E però quelle sono meglio ordinate, ed hanno piú lunga vita,
che mediante gli ordini suoi si possono spesso rinnnovare, ovvero che per
qualche accidente, fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è
cosa piú chiara che la luce che non si rinnovando questi corpi non durano.
Il modo del rinnovargli è, come è
detto, ridurgli verso e principii suoi; perché tutti e principii delle sètte e
delle republiche e de’ regni conviene che abbiano in sé qualche bontà, mediante
la quale ripiglino la prima riputazione ed il primo augumento loro. E perché
nel processo del tempo quella bontà si corrompe, se non interviene cosa che la
riduca al segno, ammazza di necessità quel corpo. E questi dottori di medicina
dicono, parlando de’ corpi degli uomini: “Quod quotidie aggregatur aliquid,
quod quandoque indiget curatione”. Questa riduzione verso il principio,
parlando delle republiche, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza
intrinseca. Quanto al primo, si vede come egli era necessario che Roma fussi
presa dai Franciosi a volere che la rinascesse, e rinascendo ripigliasse nuova
vita e nuova virtú e ripigliasse la osservanza della religione e della
giustizia, le quali in lei cominciavano a macularsi. [...]
È necessario adunque, come è
detto, che gli uomini che vivono insieme in qualunque ordine, spessi si
riconoschino, o per questi accidenti estrinseci o per gl’intrinseci. E quanto a
questi, conviene che nasca o da una legge, la quale spesso rivegga il conto
agli uomini che sono in quel corpo, o veramente da un uomo buono che nasca fra
loro, il quale con i suoi esempli e con le sue opere virtuose faccia il
medesimo effetto che l’ordine.
Surge dunque questo bene nelle
republiche, o per virtú d’un uomo o per virtú d’uno ordine. E quanto a questo
ultimo, gli ordini che ritirarono la Republica romana verso il suo principio,
furono i Tribuni della plebe, i Censori e tutte l’altre leggi che venivano
contro all’ambizione ed alla insolenzia degli uomini. I quali ordini hanno
bisogno di essere fatti vivi dalla virtú d’uno cittadino, il quale animosamente
concorra ad esequirli contro alla potenza di quegli che gli trapassano.
Nasce ancora questo ritiramento
delle repubbliche verso il loro principio dalla semplice virtú d’un uomo, senza
dependere da alcuna legge che ti stimoli ad alcuna esecuzione; nondimeno sono
di tale riputazione e di tanto esempio che gli uomini buoni desiderano
imitarle, e gli cattivi si vergognanno a tenere vita contraria a quelle. [...]
Ma quanto alle sètte, si vede
ancora quelle rinnovazioni essere necessarie per lo esemplo della nostra
Religione; la quale se non fossi stata ritirata verso il suo principio da Santo
Francesco e da Santo Domenico sarebbe al tutto spenta, perché questi con la
povertà e con lo esemplo della vita di Cristo la ridussono nella mente degli
uomini, che già vi era spenta; e furono sí potenti gli ordini loro nuovi che ei
sono cagione che la disonestà de’ prelati e de’ capi della religione no la
rovinino, vivendo ancora poveramente, ed avendo tanto credito nelle confessioni
con i popoli e nelle predicazioni, che ei danno loro a intendere come egli è
male dir male del male, e che sia bene vivere sotto la obedienza loro, e se
fanno errori lasciargli gastigare a Dio. E cosí quegli fanno il peggio che
possono, perché non temono quella punizione che non veggono e non credono. Ha
adunque questa rinnovazione mantenuto, e mantiene, questa religione.
Hanno ancora i regni bisogno di
rinnovarsi e ridurre le leggi di quegli verso i suoi principii. E si vede
quanto buono effetto fa questa parte nel regno di Francia, il quale regno vive
sotto le leggi e sotto gli ordini piú che alcun altro regno. Delle quali leggi
ed ordini ne sono mantenitori i parlamenti, e massime quel di Parigi; le quali
sono da lui rinnovate qualunque volta ei fa una esecuzione contro ad un
principe di quel regno, e che ei condanna il Re nelle sue sentenze. Ed infino a
qui si è mantenuto per essere stato uno ostinato esecutore contro a quella
Nobilità; ma qualunque volta ei ne lasciassi alcuna impunita e che le venissono
a multiplicare, senza dubbio ne nascerebbe, o che le si arebbono a correggere
con disordine grande, o che quel regno si risolverebbe.
Conchiudesi pertanto non essere
cosa piú necessaria in uno vivere comune, o sètta o regno o republica che sia,
che rendergli quella riputazione ch’egli aveva ne’ principii suoi, ed
ingegnarsi che siano o gli ordini buoni o i buoni uomini che facciano questo
effetto, e non lo abbia a fare una forza estrinseca, perché ancora che qualche
volta la sia ottimo rimedio che fu a Roma, ella è tanto pericolosa che non è in
modo alcuno da desiderarla.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol.
X, pagg. 94-95