Il
filosofo francese nota che l’epoca moderna tende sempre piú a considerare
l’uomo come un “aggregato di funzioni”.
G. Marcel, Position et approches concrètes
du mystère ontologique, Paris, 1949, trad. it. di G. Vagniluca, in G.
Marcel, Manifesti metodologici di una filosofia concreta, Minerva
Italica, Bergamo, 1972, pagg. 69-72
L’epoca contemporanea mi sembra caratterizzata da ciò che si potrebbe senza dubbio chiamare l’esorbitanza dell’idea di funzione (“la désorbitation de l’idée de fonction”): prendo qui la parola “funzione” nella sua accezione piú generale, quella che comprende a un tempo le funzioni vitali e le funzioni sociali.
L’individuo tende ad apparire non solo a se stesso ma anche agli altri come un semplice fascio di funzioni. Per ragioni storiche estremamente profonde e che senza dubbio comprendiamo ancora soltanto in parte, l'individuo è stato sempre piú portato a trattare se stesso come un aggregato di funzioni, la gerarchia delle quali gli appare d’altronde problematica, soggetta in ogni caso alle piú contraddittorie interpretazioni.
Funzioni vitali, in primo luogo: è appena sufficiente indicare il ruolo che in questa direzione hanno potuto svolgere da una parte il materialismo storico, dall'altra il freudismo.
Funzioni sociali, in secondo luogo: funzione consumatore, funzione produttore, funzione cittadino ecc.
Tra le une e le altre v’è certo teoricamente posto per le funzioni psicologiche. Ma si vede subito che le funzioni propriamente psicologiche tenderanno a essere sempre piú interpretate sia in rapporto alle funzioni vitali, sia in rapporto alle funzioni sociali, la loro autonomia sarà quindi precaria, come sarà contestata la loro specificità. In questo senso Comte, aiutato d’altronde dalla propria totale incomprensione della realtà psicologica, ha mostrato una sorta di divinazione, rifiutando di assegnare un posto alla psicologia nella classificazione delle scienze.
Non c’è bisogno di insistere sopra l’impressione di soffocante tristezza che sale da un mondo cosí regolato sulla funzione Mi limiterò a evocare qui l’immagine penosa del pensionato, o anche quella strettamente connessa delle domeniche cittadine, quando la gente a passeggio dà precisamente la sensazione dei pensionati della vita. In un mondo di tal genere la tolleranza, che si concede al pensionato, ha qualcosa di derisorio e di sinistro.
Ma non c’è solo la tristezza di chi guarda questo spettacolo; c’è anche il sordo, intollerabile malessere avvertito da colui che si vede ridotto a vivere come se si confondesse effettivamente con le proprie funzioni; e questo malessere dimostra a sufficienza che esiste un errore o un abuso atroce d’interpretazione, che un ordine sociale sempre piú disumano e una filosofia ugualmente disumana (la quale, se ha preformato questo ordine, si è in seguito su di esso modellata) hanno nella stessa misura contribuito a radicare nelle intelligenze senza difesa.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. II, pag. 397