La fedeltà
vera non comporta passività e conformismo, ma un atteggiamento creativo che
implica una lotta attiva contro “l’ombra del tradimento”, che è sempre presente
come possibilità. La fedeltà è posta di fronte ad una presenza che in quanto
tale non è circoscrivibile, e quindi travalica la razionalità e sfocia nel
mistero.
G. Marcel, Posizione e approcci concreti al
mistero ontologico
La fedeltà è in realtà il contrario del conformismo inerte; è l’attivo riconoscimento di un certo permanente, non affatto formale alla maniera di una legge, ma ontologico. In tale senso si riferisce sempre ad una presenza o, meglio, a qualche cosa che può e deve essere mantenuta in noi e davanti a noi come presenza, ma che ipso facto può anche molto bene e perfettamente essere ignorata, dimenticata, cancellata; vediamo qui riapparire quell’ombra del tradimento che a mio parere ricopre come una nube sinistra tutto il nostro mondo umano.
Si dirà forse che parliamo comunemente di fedeltà ad un principio? Resta da vedere se non ci sia qui uno scambio illegittimo con una fedeltà di altro tipo. Un principio, in quanto si riduce ad un’affermazione astratta, non può esigere niente da me, poiché deve tutta la sua realtà all’atto attraverso cui io lo sanziono o lo proclamo. La fedeltà al principio in quanto principio è un’idolatria nel senso etimologico del termine; può essere per me un obbligo sacro rinnegare un principio che ha perso la propria forza vitale e al quale sento bene di non aderire piú: continuando a conformarvi la mia condotta, in fondo io tradisco me stesso, me stesso in quanto presenza.
La fedeltà ha cosí poco del conformismo inerte al punto da implicare una continua e attiva lotta contro le forze che non tendono verso la dispersione interiore ed anche verso la sclerosi dell’abitudine. Mi si dirà: ciò comunque è solo una specie di attiva conservazione, è solo il contrario della creazione. È necessario, credo, a questo punto, penetrare ancor piú a fondo nella natura della fedeltà e della presenza.
Se la presenza fosse unicamente un’idea che è in noi, la cui caratteristica fosse di non essere niente altro che se stessa, tutto ciò che effettivamente potremmo sperare sarebbe di mantenere in noi o davanti a noi questa idea, cosí come si conserva una fotografia in un cassetto o sopra un caminetto. Ma è proprio di una presenza, in quanto presenza, di non essere circoscritta; e ritroviamo di nuovo il meta-problematico. La presenza è mistero nella misura stessa in cui è presenza. Ora la fedeltà è la presenza attivamente perpetuata, è il rinnovamento del beneficio della presenza, della sua virtú che consiste in uno stimolo misterioso a creare. Anche qui la considerazione della creazione artistica potrebbe esserci di grande aiuto, poiché, se la creazione estetica è concepibile, ciò è possibile solo se si parte da una certa presenza del mondo all’artista; presenza al cuore e all’intelligenza, presenza all’essere stesso.
Dunque una fedeltà creatrice è possibile, solo in quanto la fedeltà è ontologica nel suo principio, in quanto prolunga una presenza la quale, essa stessa, corrisponde ad una certa presa dell’essere su di noi; fatto che inoltre moltiplica e approfondisce in maniera quasi insondabile l’eco di questa presenza in seno alla nostra durata. Tale fatto mi pare avere delle conseguenze in qualche modo inesauribili, se non altro per quello che riguarda i rapporti tra i vivi e i morti.
G. Marcel, Manifesti metodologici di una
filosofia concreta, Minerva Italica, Bergamo, 1972, pagg. 101-103