Pur non
rinnegando le sue basi illuministe, Marcuse è convinto della necessità del
pensiero dialettico, l’unico capace di “pensare in negativo” e quindi di
mettere in evidenza le insufficienze del pensiero scientifico e della civiltà
tecnologica.
H. Marcuse, Ragione e rivoluzione [Reason
and Revolution]
Questo libro è stato scritto con la speranza di offrire un piccolo contributo alla rinascita non tanto di Hegel quanto di una facoltà mentale che rischia di scomparire: il potere del pensiero negativo. Secondo la definizione hegeliana, “Il pensiero è in realtà essenzialmente la negazione di ciò che ci è immediatamente dinnanzi”. Che cosa intende egli per “negazione”, che è la categoria fondamentale della dialettica?
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Oggi la maniera dialettica di pensare è estranea a tutto il nostro universo di termini e di azioni. Essa sembra appartenere al passato e condannata a essere respinta dalle conquiste della civiltà tecnologica. La realtà di fatto sembra sufficientemente promettente e redditizia per respingere o assorbire al suo interno ogni alternativa. L’accettazione ed anche l’affermazione di questa realtà si configura pertanto come l’unico principio metodologico ragionevole. Per di piú un atteggiamento simile non impedisce né la critica né il mutamento: al contrario l’insistere sull’aspetto dinamico dello status quo e sulle sue continue “rivoluzioni” costituisce uno dei suoi sostegni piú efficaci. Una tale dinamica peraltro sembra operare perennemente all’interno del medesimo modo di vita: rendere piú facile il dominio sull’uomo da parte dell’uomo e dei prodotti del suo lavoro, renderlo piú facile invece che eliminarlo. Il progresso diventa quantitativo e tende a rinviare all’infinito il salto dalla quantità alla qualità, cioè l’affermazione di nuove maniere di esistenza con nuove forme di ragione e di libertà.
Il potere del pensiero negativo è l’impulso del pensiero dialettico usato come metodo per analizzare il mondo dei fatti dal punto di vista della sua intrinseca insufficienza. Scelgo questa vaga e non scientifica definizione per rendere piú stridente il contrasto tra pensiero dialettico e pensiero non dialettico. Il termine “insufficienza” comporta un giudizio di valore. Il pensiero dialettico annulla la posizione a priori di valore e fatto interpretando tutti i fatti come momenti di un unico processo nel quale il soggetto e l’oggetto sono talmente uniti che la verità può essere raggiunta solo nella totalità unitaria di soggetto e oggetto. Tutti i fatti comprendono in sé chi li conosce cosí come chi li fa. Essi traducono continuamente il passato in presente. Gli oggetti, pertanto, “racchiudono” la soggettività nella loro stessa struttura.
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Il pensiero dialettico inizia con la constatazione che il mondo non è libero: cioè che l’uomo e la natura esistono in condizioni di alienazione, “diversi da ciò che sono”. Ogni maniera di pensare che escluda la contraddizione dalla sua logica è una logica difettosa. Il pensiero “corrisponde” alla realtà solo se trasforma la realtà medesima comprendendone la sua struttura contraddittoria. Qui il principio della dialettica porta il pensiero al di là dei confini della filosofia. Comprendere la realtà, infatti, significa comprendere ciò che le cose sono e ciò a sua volta implica di non accettare la loro apparenza come dati di fatto. La non accettazione, la rivolta, si configura come il procedimento sia del pensiero sia dell’azione. Mentre il metodo scientifico conduce dall’immediata esperienza delle “cose” alla loro struttura logico-matematica, il pensiero filosofico conduce dall’immediata esperienza dell’esistenza alla sua struttura storica: il principio della libertà.
La libertà costituisce la dinamica intrinseca dell’esistenza, e il processo dell’esistenza in un mondo non libero consiste proprio nella “continua negazione di ciò che minaccia di negare (aufheben) la libertà”. La libertà quindi è costituzionalmente negativa; l’esistenza è sia alienazione sia processo attraverso il quale il soggetto conquista se stesso comprendendo e dominando l’alienazione.
R. Bortot e V. Milanesi, Il concetto di
filosofia nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 19842, pagg. 285-287