Maurice
Merleau-Ponty (1908-1961) ritiene che l’essere vivente debba essere compreso
partendo dal rapporto privilegiato che la coscienza ha con il corpo e
dall’essere apertura al mondo, impegno nel mondo. Egli interpreta poi la
libertà come il luogo dei condizionamenti e delle possibilità, dei rapporti di
comunicazione e anche di solidarietà.
Anche nel
campo della politica c’è la minaccia dello scacco, a cui si contrappone la
speranza marxista. Purtroppo però il marxismo si è realizzato solo in un paese.
M. Merleau-Ponty, Préface a Sens et
non-sens, [Senso e non senso], Gallimard, Paris, 1948, trad. it. di
P. Caruso, Il Saggiatore, Milano, 1967, pagg. 21-23
Dall’inizio del secolo, molti libri importanti hanno espresso la rivolta della vita immediata contro la ragione. Hanno detto, ciascuno a suo modo, che mai le sistemazioni razionali d’una morale, di una politica, o anche dell’arte, avranno valore contro il fervore dell’istante, l'esplodere d’una vita individuale, la “premeditazione dell’ignoto”.
Bisogna credere che non è tollerabile all’uomo affrontare a lungo la sua volontà singola: tra questi ribelli, gli uni hanno accettato senza condizioni la disciplina del comunista, altri quella di una religione rivelata, e i piú fedeli alla loro giovinezza hanno distinto la loro vita in due zone; come cittadini, mariti, amanti o padri, si comportano secondo le regole d’una ragione alquanto conservatrice. La loro rivolta s’è localizzata nella letteratura o nella poesia, trasformandole ipso facto in religione.
È senz’altro vero che la nuda rivolta è insincera. Appena vogliamo qualcosa o prendiamo a testimone gli altri, ossia dal momento in cui viviamo, noi implichiamo che il mondo, in linea di principio, sia d’accordo con se medesimo, e gli altri con noi. Nasciamo nella ragione come nel linguaggio. Sarebbe però necessario che la ragione a cui s’arriva non fosse quella che si era lasciata con tanto strepito. Sarebbe necessario che l’esperienza dell’irragionevolezza non fosse semplicemente dimenticata. Sarebbe necessario formare una nuova idea della ragione.
[...]
In politica, infine, l'esperienza di questi trent’anni ci obbliga anche a evocare il sottofondo di non-senso su cui si profila ogni impresa universale, e che la minaccia di scacco. Per generazioni d’intellettuali, la politica marxista è stata la speranza, perché in essa i proletari e, tramite loro, gli uomini di tutti i paesi dovevano trovare il modo di riconoscersi e di riunirsi. La preistoria stava per finire. Una parola era stata detta che attendeva risposta da quell’immensa umanità virtuale da sempre silenziosa. Si stava per assistere alla novità assoluta di un mondo in cui gli uomini contassero. Ma, essendosi realizzata solo in un paese, la politica marxista ha perduto fiducia nella propria audacia, ha abbandonato i propri strumenti proletari riprendendo quelli della storia classica: gerarchia, obbedienza, miti, disuguaglianza, diplomazia, polizia. All’indomani della guerra, si poteva sperare che lo spirito del marxismo, sarebbe riapparso, e che il movimento delle masse americane si sarebbe collegato alla rivoluzione russa. Quest’attesa viene qui espressa in alcuni studi. È noto com’essa sia stata delusa e come si vedano ormai contrapposte un’America quasi unanime nella caccia ai “rossi”, con le ipocrisie che la critica marxista sta svelando nella coscienza liberale, e una Unione Sovietica che considera come fatto compiuto la divisione del mondo in due blocchi e come inevitabile la soluzione militare, non conta su nessun risveglio di libertà proletaria, anche e soprattutto quando arrischia i proletariati nazionali in missioni di sacrificio.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. II, pagg. 367-368